mercoledì, marzo 17, 2010

La filosofia della paura. A margine di un libro di successo.


Per l'autore di un blog come quello che avete la bontà di leggere, finalizzato esplicitamente a trattare i temi della sicurezza (anche se cercando sempre, qualora possibile, di coglierla sotto il profilo di presupposto per lo sviluppo economico e sociale) la lettura del testo del filosofo norvegese Lars Svendsen, riproposto in Italia dalla Castelvecchio editore, è doppiamente proficuo. La ricerca della sicurezza altro non è, infatti, che la risposta razionale ad uno dei sentimenti più antichi che accompagnano la storia dell'umanità: la paura. Chiedersi cosa sia la paura e quale sia la cultura che la sua diffusione inevitabilmente genera e diffonde è, pertanto, assolutamente necessario e consente a tutti noi, sedicenti cultori della materia delle politiche di sicurezza, di godere di un salutare bagno di umiltà.
La paura è un sentimento assolutamente normale, direi fisiologico, che ci fa compagnia dalla notte dei tempi, eppure ogni generazione (e quella presente non fa certo eccezione) sembra riscoprirla ogni volta con sgomento. I motivi per aver paura (contrariamente a quanto si pensi comunemente) non sono affatto aumentati, al contrario: la nostra società occidentale è probabilmente una delle più sicure che la storia ricordi.
La componente che sembra incrementarsi costantemente è invece la "cultura della paura" e, di conseguenza, la politica della paura. Questo sentimento è, infatti, un potente mezzo di controllo sociale ed un fortissimo argomento a sostegno delle decisioni meno giustificabili. "La paura" scrive il filosofo norvegese "è uno dei fattori di potere più importanti che esistano e chi può governarla in una società terrà quella società in pugno"
Un richiamo ad una visione serena e razionale dei potenziali pericoli che ci minacciano, mi pare opera meritoria. Una società è veramente sicura quando è anche serena e in grado di difendersi dai rischi incombenti senza isterismi e senza cedere alle demagogie. Tutto ciò mi pare saggio. Ma attenzione, guai a pensare che un livello misurato e controllato di timore sia inutile. Lo spirito di autoconservazione è necessario per la tutela sia del singolo sia di una collettività, poichè "temere" significa anche considerare il futuro e programmare le risposte che si pensa saranno necessarie a fronteggiare le emergenze. Pur consapevoli che - per fortuna - molte di queste emergenze non avranno mai luogo e molte delle minacce che dovremo effettivaqmente affrontare assai meno spaventose nella realtà di quanto non lo siano state nelle nostre tormentate preoccupazioni.

sabato, marzo 06, 2010

La nostalgia del bigliettaio


Mia madre e mio padre erano persone di altri tempi e non sapevano cosa fosse la "percezione di insicurezza". Non solo non conoscevano la forma verbale ma - almeno nel senso che attribuiamo al termine oggi - ne ignoravano proprio il concetto. Quando mia madre mi riportava a casa dal cinema (mio padre era un dirigente molto spesso fuori città per lavoro) lo faceva utilizzando l'autobus e, indicandomi il bigliettaio che se ne stava seduto al suo posto in fondo, mi diceva soddisfatta "se qualcuno ci dovesse dar fastidio, noi chiamiamo il bigliettaio e lui metterebbe le cose a posto!". Il bigliettaio non era un poliziotto - questo lo capiva bene anche un bambino come me - ma aveva il berretto e rappresentava, almeno ai miei occhi e forse anche a quelli di mia madre, lo Stato, l'ordine, la sicurezza e la difesa dei deboli contro ogni forma di malintenzionati.
Poveri vecchi bigliettai, non ci sono più, resi costosi ed obsoleti dalle macchine obliteratrici e, se mia madre fosse ancora viva e viaggiasse in autobus, non potrebbe più, per rassicurarsi, lanciare uno sguardo verso il fondo dell'automezzo per trovare conforto dalla visione di quel berretto. Così come non ci sono più i portieri a presidiare gli androni dei nostri palazzi ed evitare che malintenzionati possano penetrarvi. Nessun videocitofono potrà mai eguagliare il filtro discreto ma ferreo dei vecchi portieri di una volta.
Dicono che ci sentiamo tutti più insicuri. Quale scoperta! Abbiamo progettato e creato un mondo che sembra finalizzato a produrre insicurezza, eliminato le figure rassicuranti, isolato gli anziani in quartieri ove non esiste socializzazione alcuna e ci aspettavamo un risultato diverso? E' inutile invocare sempre maggiore polizia. Poliziotti e carabinieri sono utili e fanno un lavoro insistituibile ma la "sicurezza" è data dalla contestuale presenza di una rete di informale rassicurazione sociale, cotituita da una moltitudine di figure di riferimento, che, se scompare, non potrà mai essere adeguatamente sostituita da un controllo del territorio meramente di polizia.

mercoledì, marzo 03, 2010

Ancora con la vecchia ed inutile politica dell'aumento delle pene edittali


Il governo ha appena licenziato una serie di provvedimenti contro la corruzione e tra essi, more solito, è presente la previsione di un aumento delle pene edittali, da un terzo alla metà. Ovviamente condivido le finalità del disegno di legge ma sono fortemente perplesso sul fatto che questo tipo di decisioni apportino reali benefici al sistema giuridico nel suo complesso.
Aumentare la pena edittale prevista per un reato non è un concreto deterrente contro la sua possibile commissione. Un soggetto che ha deciso - in vista dei futuri e quasi certi guadagni che la condotta illegale gli permetterà di assicurarsi - di commettere un reato, non ne sarà certamente dissuaso dalla minaccia di un aggravamento pena. Sino a quando la possibilità di essere chiamato a risponderne sarà oggettivamente scarsa o nulla, egli continuerà a delinquere; non appena, invece, le probabilità di subire una condanna (più o memo grave non è determinante) diventerà consistente, è quasi certo che la sua propensione al reato scemerà fortemente.
Non è pertanto sulle pene che bisognava agire (quelle previste erano più che sufficienti) bensì sulle procedure. Era necessario aumentare i controlli, renderli più efficaci ed invasivi, destinare più uomini e mezzi della Guardia di Finanza ad indagini mirate, immaginare banche dati ed altri strumenti di indagine da offrire all'Autorità Giudiziaria, rispolverare la vecchia idea della stazione unica appaltante. Certamente si sarebbe trattato di una strada più complessa e di minore "impatto mediatico" ma sarebbe stata probabilmente l'unica strada che avrebbe portato a qualche risultato concreto.