Riprogondo un mio vecchio articolo scritto per Corverde, alcuni anni fa. Esso sconta alcune ingenuità e probabilente oggi non lo riscriverei esattamente nello stesso modo. Tuttavia la sua lettura non è inutile in relazione all'argomento che trattiamo in questo blog. Il poliziotto di quartiere, nel suo archetipo ideale (sfortunatamente diverso dalla concretizzazione pratica) è infatti un tipico operatore da "sicurezza partecipata" che potrebbe, se lo si volesse, essere realizzato dalla polizia municipale o da una futura polizia regionale. Getto al vento la provocazione e spero che qualcuno raccolga con coraggio questa sfida.
1. Il poliziotto di quartiere.
Il "poliziotto di quartiere" e il "carabiniere di quartiere" sono stati infine istituiti. Si trattava di una delle "promesse" del governo e, giustamente, il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Interno hanno enfatizzano questo risultato. Ma è tutto oro quello che fanno brillare ai nostri occhi? Dubitarne mi sembra legittimo.
Il "poliziotto di quartiere" e la "polizia di prossimità" vengono trattati dalla grande stampa come fossero sinonimi. In realtà si tratta di due istituti molto diversi, che stanno in un rapporto di genus a species. In altre parole, il poliziotto di quartiere è sicuramente anche poliziotto di prossimità, mentre non è sufficiente essere polizia di prossimità per essere anche "di quartiere". Le pattuglie appiedate che la Polizia di stato o il carabiniere singolo che l’Arma ha posto a presidio di molte province italiane, pur rappresentando un modo più "prossimo" al cittadino di perseguire la pubblica prevenzione non sono tuttavia quello che la gente pensa debba essere un agente "di quartiere". Quest’ultimo, di tradizione prevalentemente anglosassone, non è un’ennesima "unità operativa" sul territorio con compiti soprattutto di repressione dei reati e di prevenzione generale bensì un "mediatore" tra le istituzioni e la collettività, un consigliere del cittadino, un punto di riferimento per la molteplicità delle locali aggregazioni (scuole, associazioni, circoli culturali e sportivi, parrocchie, consorzi, associazioni di commercianti) svolgendo una funzione di contrasto non tanto alla criminalità esplicita quanto alla diffusa illegalità minore che solitamente non assumere rilievo tale da interessare direttamente le Forze di polizia.
2. L’insicurezza percepita.
Il poliziotto e il carabiniere potrebbero infatti svolgere un ruolo importante nella diminuzione dell’insicurezza percepita (un’insicurezza che, a giudicare dagli indici di delittuosità, ha poco da spartire con le reali condizioni di contesto criminale) ma questa funzione difficilmente sarà svolta nel migliore dei modi. Il motivo? In primo luogo, si continua a considerare l’insicurezza percepita come un fatto "psicologico", con scarsi o punti riferimenti concreti nella realtà. Il cittadino avrebbe bisogno di "vedere" il poliziotto per strada per essere "rassicurato" nelle sue angosce, di derivazione più mediatica (la televisione, i giornali, le "leggende metropolitane") che reale. Una sorta di "paranoia sociale" bisognevole del "trattamento psicanalitico" della polizia "di quartiere". Quest’impostazione è assolutamente erronea. Non c’è nulla di più "concreto e reale" dell’insicurezza percepita. Essa non è registrata dalle statistiche ufficiali per il semplice motivo che deriva da eventi che non sono considerati illeciti o in ogni caso illeciti di così modesto rilievo da non essere penalmente perseguiti.
3. Il disagio quotidiano del povero cittadino.
Il povero "signor Rossi", soprattutto se vive in una media o grande città, ha certamente motivo di lamentarsi. Uscito di casa, nel primo mattino, deve scavalcare il corpo del barbone che dorme di fronte al suo garage per poter prendere la vettura; munirsi di una batteria di monetine da elargire a tutti i pulitori di vetri che sostano ad ognuno dei semafori che lo dividono dal luogo di lavoro, qui giunto dovrà rassegnarsi a pagare il piccolo "pizzo" che gli impone il parcheggiatore abusivo (una volta che si è rifiutato, ha trovato la carrozzeria graffiata senza pietà), aperto il negozio o l’ufficio dovrà allontanare il solito malato di mente che la legge 180 ha regalato all’intera comunità e lottare col venditore abusivo che commercia la medesima mercanzia sul marciapiede di fronte al suo esercizio; tornato a casa dovrà pregare la prostituta posizionatasi proprio di fronte al cancelletto del suo giardino di spostarsi per farlo passare e, infine, tolti i suoi due sistemi d’allarme, potrà finalmente sdraiarsi sul divano a guardare la televisione dove un sociologo d’accatto gli assicurerà che "la percezione d’insicurezza è solo un fatto psicologico".
4. "è inutile chiamare la Polizia!"
Gli eventi che rendono difficile la vita del cittadino non hanno sempre il carattere dell’illecito penale. In moltissimi casi, pertanto, le Forze di Polizia possono fare poco o nulla. Il cittadino lo sa ed evita ormai di telefonare inutilmente al pronto intervento; ritiene tuttavia che "se la polizia fosse presente" almeno alcuni tra questi eventi di generica illegalità si potrebbero evitare o, quanto meno, gestire con minore preoccupazione. Da questo convincimento nasce il desiderio diffuso di "poliziotto di quartiere", operatore amico e raggiungibile, in grado di allontanare la prostituta e il barbone, chiamare sanitari in grado di occuparsi del malato di mente, diffidare il parcheggiatore abusivo e allontanare l’ambulante abusivo, Quello che in buona sostanza il cittadino spera dalla polizia di prossimità e soprattutto dal poliziotto e dal carabiniere di quartiere è una risposta non formale al problema dell’illegalità diffusa, basata non sull’accatastarsi d’inutili pile di denuncie contro ignoti o di procedimenti che non vedranno mai conclusione ma su risposte concrete, pratiche, immediate, operative che, se non risolvono i problemi alla radice, ne allevino almeno gli effetti più sgradevoli.
5. ma questo poliziotto di quartiere non può essere la soluzione.
Così com’è stato ideato e realizzato, tuttavia, l’istituto del poliziotto e del carabiniere di quartiere non potrà fornire risposta a queste esigenze. Quello che è stato attuato non è, in buona sostanza, che un incremento e potenziamento delle "pattuglie appiedate", peraltro servizio già esistente. Intendiamoci, non era possibile far meglio. Un istituto antico e consolidato in altri Paesi non poteva essere improvvisato in pochi giorni nel nostro. Tuttavia, bisogna essere chiari con la cittadinanza, altrimenti l’effetto delusione porterà effetti diametralmente opposti da quelli voluti dal governo. Le pattuglie che vediamo da qualche settimana percorrere le nostre strade sono composte da poliziotti tradizionali (dal punto di vista dei moduli operativi), agenti di polizia giudiziaria obbligati per legge ad intervenire, a contravvenzionare, a rispettare orari e percorsi, a rispondere alle eventuali chiamate per le mille emergenze che si verificano in ogni grande città. Questo tipo d’operatore non avrà nel il tempo né la possibilità di interpretare il ruolo del "poliziotto amico", quello cui rivolgersi per risolvere qualcuno degli innumerevoli problemi quotidiani, quello che si pone, in primo luogo, dalla "parte del cittadino".
Accettiamoli pertanto così come sono, come un’ulteriore risorsa posta sul territorio per incrementare l’attività di prevenzione generale e di primo intervento. Senza le troppe illusioni che il "battage" pubblicitario potrebbe aver determinato in noi.
1. Il poliziotto di quartiere.
Il "poliziotto di quartiere" e il "carabiniere di quartiere" sono stati infine istituiti. Si trattava di una delle "promesse" del governo e, giustamente, il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Interno hanno enfatizzano questo risultato. Ma è tutto oro quello che fanno brillare ai nostri occhi? Dubitarne mi sembra legittimo.
Il "poliziotto di quartiere" e la "polizia di prossimità" vengono trattati dalla grande stampa come fossero sinonimi. In realtà si tratta di due istituti molto diversi, che stanno in un rapporto di genus a species. In altre parole, il poliziotto di quartiere è sicuramente anche poliziotto di prossimità, mentre non è sufficiente essere polizia di prossimità per essere anche "di quartiere". Le pattuglie appiedate che la Polizia di stato o il carabiniere singolo che l’Arma ha posto a presidio di molte province italiane, pur rappresentando un modo più "prossimo" al cittadino di perseguire la pubblica prevenzione non sono tuttavia quello che la gente pensa debba essere un agente "di quartiere". Quest’ultimo, di tradizione prevalentemente anglosassone, non è un’ennesima "unità operativa" sul territorio con compiti soprattutto di repressione dei reati e di prevenzione generale bensì un "mediatore" tra le istituzioni e la collettività, un consigliere del cittadino, un punto di riferimento per la molteplicità delle locali aggregazioni (scuole, associazioni, circoli culturali e sportivi, parrocchie, consorzi, associazioni di commercianti) svolgendo una funzione di contrasto non tanto alla criminalità esplicita quanto alla diffusa illegalità minore che solitamente non assumere rilievo tale da interessare direttamente le Forze di polizia.
2. L’insicurezza percepita.
Il poliziotto e il carabiniere potrebbero infatti svolgere un ruolo importante nella diminuzione dell’insicurezza percepita (un’insicurezza che, a giudicare dagli indici di delittuosità, ha poco da spartire con le reali condizioni di contesto criminale) ma questa funzione difficilmente sarà svolta nel migliore dei modi. Il motivo? In primo luogo, si continua a considerare l’insicurezza percepita come un fatto "psicologico", con scarsi o punti riferimenti concreti nella realtà. Il cittadino avrebbe bisogno di "vedere" il poliziotto per strada per essere "rassicurato" nelle sue angosce, di derivazione più mediatica (la televisione, i giornali, le "leggende metropolitane") che reale. Una sorta di "paranoia sociale" bisognevole del "trattamento psicanalitico" della polizia "di quartiere". Quest’impostazione è assolutamente erronea. Non c’è nulla di più "concreto e reale" dell’insicurezza percepita. Essa non è registrata dalle statistiche ufficiali per il semplice motivo che deriva da eventi che non sono considerati illeciti o in ogni caso illeciti di così modesto rilievo da non essere penalmente perseguiti.
3. Il disagio quotidiano del povero cittadino.
Il povero "signor Rossi", soprattutto se vive in una media o grande città, ha certamente motivo di lamentarsi. Uscito di casa, nel primo mattino, deve scavalcare il corpo del barbone che dorme di fronte al suo garage per poter prendere la vettura; munirsi di una batteria di monetine da elargire a tutti i pulitori di vetri che sostano ad ognuno dei semafori che lo dividono dal luogo di lavoro, qui giunto dovrà rassegnarsi a pagare il piccolo "pizzo" che gli impone il parcheggiatore abusivo (una volta che si è rifiutato, ha trovato la carrozzeria graffiata senza pietà), aperto il negozio o l’ufficio dovrà allontanare il solito malato di mente che la legge 180 ha regalato all’intera comunità e lottare col venditore abusivo che commercia la medesima mercanzia sul marciapiede di fronte al suo esercizio; tornato a casa dovrà pregare la prostituta posizionatasi proprio di fronte al cancelletto del suo giardino di spostarsi per farlo passare e, infine, tolti i suoi due sistemi d’allarme, potrà finalmente sdraiarsi sul divano a guardare la televisione dove un sociologo d’accatto gli assicurerà che "la percezione d’insicurezza è solo un fatto psicologico".
4. "è inutile chiamare la Polizia!"
Gli eventi che rendono difficile la vita del cittadino non hanno sempre il carattere dell’illecito penale. In moltissimi casi, pertanto, le Forze di Polizia possono fare poco o nulla. Il cittadino lo sa ed evita ormai di telefonare inutilmente al pronto intervento; ritiene tuttavia che "se la polizia fosse presente" almeno alcuni tra questi eventi di generica illegalità si potrebbero evitare o, quanto meno, gestire con minore preoccupazione. Da questo convincimento nasce il desiderio diffuso di "poliziotto di quartiere", operatore amico e raggiungibile, in grado di allontanare la prostituta e il barbone, chiamare sanitari in grado di occuparsi del malato di mente, diffidare il parcheggiatore abusivo e allontanare l’ambulante abusivo, Quello che in buona sostanza il cittadino spera dalla polizia di prossimità e soprattutto dal poliziotto e dal carabiniere di quartiere è una risposta non formale al problema dell’illegalità diffusa, basata non sull’accatastarsi d’inutili pile di denuncie contro ignoti o di procedimenti che non vedranno mai conclusione ma su risposte concrete, pratiche, immediate, operative che, se non risolvono i problemi alla radice, ne allevino almeno gli effetti più sgradevoli.
5. ma questo poliziotto di quartiere non può essere la soluzione.
Così com’è stato ideato e realizzato, tuttavia, l’istituto del poliziotto e del carabiniere di quartiere non potrà fornire risposta a queste esigenze. Quello che è stato attuato non è, in buona sostanza, che un incremento e potenziamento delle "pattuglie appiedate", peraltro servizio già esistente. Intendiamoci, non era possibile far meglio. Un istituto antico e consolidato in altri Paesi non poteva essere improvvisato in pochi giorni nel nostro. Tuttavia, bisogna essere chiari con la cittadinanza, altrimenti l’effetto delusione porterà effetti diametralmente opposti da quelli voluti dal governo. Le pattuglie che vediamo da qualche settimana percorrere le nostre strade sono composte da poliziotti tradizionali (dal punto di vista dei moduli operativi), agenti di polizia giudiziaria obbligati per legge ad intervenire, a contravvenzionare, a rispettare orari e percorsi, a rispondere alle eventuali chiamate per le mille emergenze che si verificano in ogni grande città. Questo tipo d’operatore non avrà nel il tempo né la possibilità di interpretare il ruolo del "poliziotto amico", quello cui rivolgersi per risolvere qualcuno degli innumerevoli problemi quotidiani, quello che si pone, in primo luogo, dalla "parte del cittadino".
Accettiamoli pertanto così come sono, come un’ulteriore risorsa posta sul territorio per incrementare l’attività di prevenzione generale e di primo intervento. Senza le troppe illusioni che il "battage" pubblicitario potrebbe aver determinato in noi.