lunedì, giugno 23, 2008

Confindustria sulle politiche del Mezzogiorno


Nell'ultimo numero della newsletter che la brava Mara Gasbarrone ci invia periodicamente, si fornisce, tra l'altro, notizia della relazione illustrata il 22 maggio u.s. all'assemblea di Confindustria dalla presidente Emma Marcegaglia (nella foto) secondo cui "non può esservi ripresa durevole della crescita dell'Italia se non si rimette in moto il Mezzogiorno e la crisi del Mezzogiorno è civile e istituzionale, prima ancora che economica".

In particolare "un fiume di denaro proveniente dal resto del Paese e dall'europa è stato dissipato negli ultimi tre decenni, senza miglioramenti visibili dell'ambiente economico e del tessuto produttivo. La corruzione e le attività malavitose impediscono il lavoro delle imprese oneste." Secondo Marcegaglia, il Mezzogiorno ha in sè enormi potenzialità. Il PIL per abitante è al sud pari al 57% di quello del nord, portarlo allo stesso livello di quello delle regioni settentrionali nell'arco di quindici anni porterebbe ad una crescita annua del 6% per l'area e tre milioni di nuovi occupati. Il Mezzogiorno diventerebbe il volano di crescita dell'intero Paese.

Grazie anche al contributo dell'Unione Europea, tra il 2007 e il 2014 sono disponibili 100 miliardi di euro per investimenti nelle aree in ritardo di sviluppo nel nostro paese. Occorre evitare di disperderli in mille rivoli e verificare attivamente dove saranno destinati. Bisogna indirizzare l'intervento verso pochi e chiari obiettivi misurabili: innanzi tutto la sicurezza e poi un piano per le infrastrutture. Occorre inoltre investire in istruzione e innalzare la qualità delle pubbliche amministrazioni e delle aziende pubbliche, vero handicap del Mezzogiorno.

lunedì, giugno 16, 2008

Giuseppe Procaccini, nuovo Capo di Gabinetto


La nomina del Prefetto Giuseppe Procaccini a capo gabinetto del Ministro dell'Interno, decisa dall'ultimo Consiglio dei Ministri, è un'ottima notizia per le prospettive future delle politiche di sicurezza per lo sviluppo. Il nuovo capo di gabinetto, infatti, non solo è persona esperta del settore (è stato, tra l'altro vice capo della polizia) ma ha avuto un'importante esperienza come Autorità di Gestione del Programma Operativo Nazionale "Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno" di cui conosce tutti gli aspetti, anche più reconditi.

Il Pon che, per motivi non ascrivibili a responsabilità di nessuno, vive da qualche tempo un periodo di difficoltà, può certamente giovarsi del fatto di trovare ora un'importante e competente sponda a livello ministeriale. Molte delle attività del Programma - era stato osservato da tempo- sono tipiche delle competenze del gabinetto del ministro, anche se era stato l'espresso desiderio della Commissione Europea a dirottare l'attribuzione totale della titolarità del Pon al Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Sono certo che l'attuale Autorità di Gestione, persona esperta e di rara capacità, sarà certamente interessata all'idea di fare squadra al massimo livello ministeriale, sopratutto per la risoluzione delle non facili problematiche attinenti ai necessari rapporti con i Prefetti in sede, insostituibili "terminali" dell'azione di diffusione della legalità sul territorio.

mercoledì, giugno 11, 2008

A proposito di interventi contro la prostituzione..


Il Ministro Roberto Maroni, auspicando il ritiro dell’emendamento al pacchetto sicurezza relativo alla definizione di “soggetti pericolosi” per le prostitute, ha giustamente fatto notare che intende contrastare il fenomeno, assai grave per la vivibilità delle nostre strade, non solo con “provvedimenti repressivi”. Ci sembra un intendimento condivisibile, tenendo anche conto che non esiste affatto, come una certa pubblicistica intende affermare, una avversione generalizzata contro le prostitute, extracomunitarie nella maggior parte, a cui tutti riconoscono il ruolo di vittime innocenti dello sfruttamento di criminali senza scrupoli. Non si tratta, pertanto, di mettere in prigione le prostitute (che, anzi, vanno aiutate) ma solo quello di evitare che, loro malgrado, le strade dei nostri quartieri si trasformino in squallidi mercati del sesso, con gravissimo pregiudizio per i cittadini che, insieme ai loro figli, sono costretti ad abitarvi.
Un aiuto potrebbe arrivare in tal senso dal Pon Sicurezza 2007-13 che, per la prima volta, prevede quale proprio obiettivo operativo il contrasto alla devianza, con centinaia di milioni di euro che potrebbero essere destinati all’attuazione di politiche di sostegno (complementari a quelle più tipicamente di polizia) che potrebbero incentivare la “liberazione” da questa grave forma di moderna schiavitù e aiutare le forze di polizia a colpire i trafficanti di esseri umani. Le risorse in argomento potrebbero peraltro ben integrarsi con iniziative analoghe, a vari livelli di governo (regione, comune, ecc.), e persino con gli sforzi generosi profusi dal volontariato. Si potrebbe tentare un progetto esplorativo, magari in una provincia della regione Campania.

lunedì, giugno 09, 2008

Loy, Martinelli e il Difensore Civico


Inventato dagli svedesi, il difensore civico è entrato in Italia nel 1974, in Lazio, Liguria e Toscana. Oggi è presente in oltre 500 comuni, in quasi tutte le province e nella maggior parte delle Regioni, con l’esclusione della Sicilia, della Calabria e della Puglia, che pure lo hanno previsto nel loro statuto ma non l’hanno mai nominato. Sul fatto che essi siano utili, vi sono molte perplessità. Le loro competenze non sono infatti ancora codificate e la loro funzione, al momento, appare al massimo quella di stimolo per le pubbliche amministrazioni: possono chiedere informazioni a tutti gli uffici (che sono tenuti a rispondere entro 30 giorni) e possono richiamare formalmente i funzionari che hanno sbagliato. Con i pochi mezzi legislativi e finanziari in loro possesso, i difensori civici rimarranno sempre figure residuali, marginali, quasi simboliche.
Furono due esponenti della UIL, Guglielmo Loy ( nella foto) e Adriana Martinelli, nel corso di una conversazione informale svoltasi in passato, a pormi il problema. Potrebbero i fondi strutturali, soprattutto quelli rivolti alle Regioni “Obiettivo Convergenza” così restii ad attivarli, fare qualcosa per rivitalizzare questa figura dal significato così emblematico? Io ritengo di si. Potrebbero persino – per la loro carattere di divulgatori di legittimità e correttezza amministrativa che tanto richiama nel nostro Mezzogiorno il concetto di legalità – essere inseriti in alcune progettualità integrate che coinvolgano anche il Pon Sicurezza. I sindacati (ovviamente non solo la UIL) potrebbero svolgere un ruolo importante in questa azione di sostegno, formazione ed informazione a beneficio dei difensori civici. Ma, ovviamente, la mia è solo l’opinione di un incompetente. Chissà che qualcuno che conosce la materia meglio di me, leggendo queste righe, non ritenga opportuno rispolverare la questione.

giovedì, giugno 05, 2008

Le polemiche di Anna Italia


Simpatico “botta e risposta” tra chi vi annoia da questo blog e la brava Anna Italia, responsabile del settore sicurezza e cittadinanza del Censis, nel forum a latere del convegno” I protagonisti e le priorità della sicurezza urbana: Stato ed enti locali a confronto “ svoltosi al Forumpa il 14 maggio u.s. Cogliendo infatti un eccessivo accento alla tematica dell’integrazione quasi contrapposta alle metodiche tradizionali di sicurezza pubblica, scrivevo che
Potrebbe essere un errore gravido di incalcolabili conseguenze il ritenere che una politica orientata verso l'integrazione delle molteplici e complesse attività di contrasto all'illegalità, unitamente a quelle (altrettanto meritorie) di sostegno al disagio sociale e di prevenzione alla devianza, sia in contraddizione col necessario potenziamento tecnologico e umano delle attuali forze di polizia presenti sul territorio.In verità è solo potenziando ogni singolo elemento di ciò che si intende coordinare ed integrare che si migliora il complesso dell'azione coordinata ed integrata. Un intervento s sostegno delle forze di polizia, anche locali, non è pertanto inutile (o ovviabile mediante indeterminate razionalizzazioni) bensì assolutamente necessario e, temo, urgentissimo.”
Anna mi rispondeva poco dopo.”Sono convinta che le forze dell'ordine siano e debbano rimanere il perno attorno a cui far ruotare qualsiasi intervento per innalzare i livelli di sicurezza. In un momento come questo, in cui sono carenti le risorse economiche dello Stato centrale, credo che gli sforzi si debbano indirizzare soprattutto verso la razionalizzazione delle risorse umane esistenti, evitando sovrapposizioni e duplicazioni. Per quanto riguarda le nuove tecnologie, esse sono senza dubbio un supporto indispensabile alle attività investigative; attenzione però a pensare che possano essere il rimedio al problema della sicurezza e della vivibilità dei territori”
Fine di una polemica mai iniziata (con Anna Italia, che stimo e a cui voglio bene, peraltro mi sarebbe impossibile litigare). Come spesso capita, tuttavia, il disaccordo nasce dal dire la stessa cosa in modo diverso. Nessuno nega che tra le forze di polizia vi siano sovente duplicazioni e sovrapposizioni (anche se meno che in altri settori pubblici) e che la materia meriti di essere razionalizzata. Bisogna pur dire che, se non si fanno concorsi da oltre dieci anni, alla fine vi è poco da razionalizzare e persino le tecnologie (contrariamente a quanto io stesso pensavo sino a pochi anni fa) non possono fare miracoli. Come miracoli, sfortunatamente, non possono farne neppure le “politiche integrate”.

mercoledì, giugno 04, 2008

Saggio a cinque mani su sicurezza e polizia locale.

Edito da Franco Angeli, per la sua collana di criminologia, è fresco di stampa il volume “Sicurezza e qualità della vota. Il contributo della Polizia locale” con prefazione del sindaco di Firenze e presidente dell’ Anci, Leonardo Domenici. Tra gli autori, numerosi studiosi ben conosciuti in questo blog: Francersco Carter, criminologo, esperto del Consiglio d’Europa e consulente del Censis, Fabrizio Cristalli, direttore generale vicario, dirigente dell’unità organizzativa polizia locale e sicurezza urbana della Regione Lombardia, Giancarlo Dionisi, vice prefetto, già membro dello staff del Ministro per le Riforme e le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione, Marco Andrea Seniga, già comandante della polizia municipale di Firenze e dirigente del settore politiche per la sicurezza urbana e polizia locale presso la presidenza della Regione Toscana, Giorgio Vigo, psicologo, dirigente del servizio sicurezza e polizia locale della Regione Veneto
Dovendo riportare un cenno sulle conclusioni a cui si è pervenuti, ci piace trascrivere un brano tratto dall’articolo di Fabrizio “…in una architettura di contrasto alla criminalità è indubbio l’apporto conoscitivo reso dalle realtà locali le quali permettono una coesione e una ricchezza di informazioni preziosa per orientare le macropolitiche del settore. Per produrre sicurezza il modello offerto dal patto locale di sicurezza urbana è basato sulla partnership che l’ente locale deve saper innescare coinvolgendo sia le organizzazioni che le altre organizzazioni pubbliche o private operanti sul territorio di riferimento: Coinvolgere nella progettazione ed attuazione dei patti le comunità e le organizzazioni informali ovvero chi esprime e vive quotidianamente i sentimenti di insicurezza è al contempo una sfida e una risorsa importante per realizzare quella sicurezza partecipata da più parti auspicata.”

Riflessione personale. Il Senatore Luigi De Sena


Reputo il prefetto Luigi De Sena uno dei miei maestri. Eppure non ho avuto la forza di telefonargli per congratularmi con lui quando, poche settimane fa, è stato eletto Senatore della Repubblica per le liste del Partito Democratico. Esistono uomini che sono onorati dall’incarico ricoperto e altri che invece lo onorano con la loro persona. De Sena appartiene a quest’ultima categoria e deve dire con tutta sincerità che è un vero peccato per il Paese che abbia voluto diventare senatore. Sarebbe stata cosa saggia impedirglielo.
De Sena è l’inventore e lo stratega del Programma Operativo Nazionale “Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno” che ha creato, avvalendosi dell’apporto di un volenteroso funzionario, nel 1997, approfittando dell’illuminato e coraggioso sostegno dell’allora vice capo della polizia, Gianni De Gennaro nonché dell’esigenza nazionale di spendere in tempi brevi le ingenti risorse residuali del periodo 1994- 99 dei fondi strutturali europei. Si trattò, per quei tempi, di una vera sfida: bisognava dimostrare la capacità dell’amministrazione della pubblica sicurezza di saper programmare nel lungo periodo, stimolare una progettualità autonoma e tesa al futuro, coinvolgere realtà spesso lontanissime e talvolta avvezze alla concorrenzialità, diffondere un metodo ed una cultura ancora ignote in taluni ambiti dipartimentali, confidare sulla promozione umana e sul desiderio di riscatto delle popolazioni soggette alla criminalità organizzata ed angustiate da quella diffusa. Imprese titaniche.
Non tutte quella sfide sono state vinte. Ma non sarebbe così ampio il mio attuale interesse per le “politiche di sicurezza” se non avessi avuto la fortuna di partecipare a quella avventura e lavorare a fianco di colleghi di altissimo valore e capacità quali Giancarlo Dionisi ed Enrico Savio. Molte battaglie non state vinte ma è stato importante combatterle.
Oggi quella sfida è affidata a persone altrettanto capaci e preparate. Sono certo che faranno grandi cose. Faranno meglio di noi (ci illudiamo che ciò accadrà anche facendo tesoro della nostra esperienza) ma probabilmente farebbero ancora meglio se avessero ancora al loro fianco un tecnico delle capacità di Luigi De Sena. Ma il tecnico ha dovuto cedere il passo al “politico” ed io, non so perché, non ho la sensazione che ci abbiamo guadagnato.

martedì, giugno 03, 2008

Il Prefetto Manganelli ha cento volte ragione, tuttavia....



Una situazione di "indulto quotidiano", in cui "tutti parlano ma nessuno fa". Il capo della polizia, prefetto Antonio Manganelli, non usa mezzi termini per definire lo stato della certezza della pena in Italia. "Tutti conoscono questa situazione” dice alle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato. "La certezza della pena, che trova il consenso unanime della politica, della magistratura, dell'opinione pubblica - ha lamentato il prefetto - è quanto di più incerto esista: meglio una pena blanda oggi che non la promessa di un castigo futuro che non arriva mai". ” Non voglio entrare nelle prerogative del Parlamento - prosegue il Capo della Polizia – ma quella che abbiamo oggi è una situazione vergognosa". Una situazione che gli operatori delle forze dell'ordine vivono tutti i giorni, "quando arrestiamo qualcuno per uno dei reati di cosiddetta criminalità diffusa e scopriamo che quel qualcuno nell'ultimo semestre era stato già arrestato altre tre o quattro volte per lo stesso tipo di reato". (fonte: http://www.repubblica.it/ )
Il Capo della Polizia ha ragione: Cento volte ragione. Tuttavia vi è un problema di fondo su cui è necessario ragionare e che attiene ad uno degli insormontabili pregiudizi che condizionano il modo di pensare nel nostro Paese. Si ritiene che una sanzione sia “seria” solo se essa presenta carattere penale. Quando vogliamo far capire che lo Stato intende essere finalmente severo, diamo rilevanza penale al comportamento che si vuole osteggiare (chi non ricorda le “manette agli evasori”) e, se tale accorgimento non si rileva sufficiente, rendiamo sempre più pesante la pena edittale. La strada di affidare sempre ai tribunali le problematiche di devianza sociale non ci può tuttavia portare molto lontano. Più aumentano i procedimenti e più la giustizia diventa lenta, involuta, inefficace. Più aumentano le pene previste e più si incrementa la propensione a giustificare, ad assolvere, a scusare, nella convinzione (non lontanissima dalla verità) che sia meglio una mancata giustizia che una giustizia ingiusta.
Bisogna seguire una strada inversa. Una strada che può sembrare provocatoria a chi guarda le vicende giudiziarie in modo formalistico. Occorre diminuire le pene e contestualmente aumentare la competenza penale del Giudice di Pace (incrementandone anche il numero). Raddoppiare il numero dei Giudici di Pace è molto più semplice che incrementare quello dei giudici ordinari, portare alla loro cognizione quasi tutte le ipotesi di microcriminalità potrebbe aiutare il sistema complessivo. Ma soprattutto occorre sanzionare per via amministrativa – questa volta certamente con severità – tutte le attività propedeutiche al crimine o che ne costituiscano il logico contesto. In tale quadro, persino una limitata depenalizzazione potrebbe essere utile. Personalmente non vedo altra strada all’indulto quotidiano lamentato dal Capo della Polizia.

Il vero nesso tra sicurezza ed immigrazione clandestina

La vexata quaestio del rapporto tra sicurezza ed immigrazione clandestina è fin troppo nota. Le posizioni su tale tema sono variegate e contraddittorie, spesso condizionate da pregiudizi culturali o visioni ideologiche che non consentono di valutare opportunamente le ragioni dell’antagonista. Si va pertanto dalla negazione di qualsiasi rapporto significativo tra l’insicurezza oggettiva e la presenza di migranti non regolari alla attribuzione a quest’ultima quanto meno della responsabilità della diffusa insicurezza percepita. A mio parere, invece, un nesso esiste, ma, a differenza di quanto comunemente si ritenga, si tratta di un rapporto di casualità indiretto, mediato e, per certi versi, non univoco.
Appare assolutamente pacifico alla stragrande maggioranza degli esperti di politiche di sicurezza che la percezione di insicurezza del singolo nonché il generale convincimento sulle condizioni di sicurezza e legalità nel nostro Paese non abbiano alcun rapporto con gli indicatori di delittuosità. Che gli extracomunitari siano pertanto responsabili di circa un terzo dei delitti (e, ancor meno, che rappresentino un terzo della popolazione carceraria) è fatto che non determina, da solo, alcun effetto nella percezione di insicurezza. Ciò che invece ingenera il convincimento del diretto rapporto tra criminalità e migrazione clandestina è il quasi monopolio detenuto dagli extracomunitari in attività che non configurano fattispecie penali (anche se non possono definirsi propriamente legali).
In quali settori di irregolarità diffusa (ma non sempre di criminalità) la presenza degli immigrati è assolutamente predominante? Su questo è facile rispondere: accattonaggio, borseggio, prostituzione, commercio abusivo e di merce contraffatta, ecc.
Orbene, è il montare costante ed in frenabile di queste attività (soprattutto nelle grandi città) che rende il cittadino preoccupato ed incerto e, poiché questi comportamenti sono posti in essere prevalentemente da stranieri o nomadi, l’equazione si concretizza inevitabilmente.
Detto questo, appare evidente che è perfettamente inutile (oltre che ingeneroso) parlare di razzismo o xenofobia (sempre possibili in chiave individuale ma sconosciuti nel nostro Paese a livello di fenomeno di massa) poiché chi è esasperato dalla continua presenza di prostitute e questuanti è consapevole di provare avversione per i comportamenti e non per le persone (di qualsiasi etnia esse siano) ed interpreta queste accuse come una scorciatoia “da politicante” per non risolvere i problemi, colpevolizzando chi, vittima, dovrebbe piuttosto essere aiutato.
Se quello che ritengo è corretto, il governo dovrebbe astenersi da politiche dirette al contenimento all’immigrazione clandestina (tipo l’introduzione della specifica fattispecie penale) che si prestano peraltro a strumentalizzazioni di ogni genere, per invece concentrarsi (sul serio!) su politiche di contrasto alle citate forme di illegalità. Tanto per iniziare, una legge che rendesse perseguibile (anche mediante una severa norma amministrativa) l’esercizio della prostituzione in luogo pubblico o aperto al pubblico - oltre ad eliminare una formidabile fonte di finanziamento per la criminalità organizzata ed disincentivare il turpe traffico delle donne – farebbe scendere sensibilmente l’insofferenza verso gli extracomunitari, con effetti benefici anche per l’immagine nel mondo del nostro Paese. Non diversamente accadrebbe con provvedimenti che si opponessero concretamente al piccolo spaccio di droga (troppo spesso considerato con indulgenza) o a commercio abusivo che, aggressivo e petulante, rende impraticabili interi quartieri commerciali, senza dimenticare le piccole estorsioni praticate costantemente da parcheggiatori abusivi, accattoni , imbrattatori e finti malati di mente. Insomma, parliamo del peccato e non dei peccatori, è un vecchio brocardo di sacrestia attuale come non mai.