mercoledì, dicembre 30, 2009

Contro la prostituzione, niente grida manzoniane per favore...


Esiste una brutta abitudine nella politica italiana che sembra veramente impossibile estirpare: quando si vuole fornire all'opinione pubblica l'esatta dimensione della severità con la quale si intende combattere un nefasto comportamento sociale, lo si "penalizza", gli si attribuisce, cioè, una sanzione penale. In un sistema giudiziario come il nostro, lento e farraginoso e con gli organici dei magistrati e cancellieri al collasso, conferire ad un comportamento (certamente da sanzionare) il carattere di fattispecie criminale, significa di fatto sparare col cannone per non uccidere la zanzara. A questo vezzo sembra indugere anche la bella ministra per le pari opportunità, on. Carfagna, che ha commendevolmente deciso di partire per la nobile guerra contro la prostituzione, effettivamente una delle piaghe del nostro Paese e una fonte di reddito per la criminalità organizzata. Cosa intende fare di concreto? Lo spiega lei stessa alla "Stampa" di oggi: in commissione si è dibattuto su sanzione penale o amministrativa. Comunque non si scappa il cliente deve essere punito». E anche la prostituta? «Si ma in una funzione di aiuto, per toglierla dalla strada. La prostituzione sarà considerata reato in pubblico e nei luoghi pubblici, come i bar, i night. E ci saranno pene più severe con l'estensione dell'associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione."
Se ben comprendo, avremo migliaia di processi contro prostitute, protettori, proprietari di bar e locali notturni, albergatori, tassisti compiacenti e favoreggiatori nonchè, assai probabilmente, decine e decine di migliaia di clienti. Poco male se questa fosse la strada giusta per eliminare il fenomeno. Mi permetto, tuttavia di dubitarne. Ci hanno provato giò in Svezia, dove questo comportamento deviante era di dimensioni assai contenute e il sistema giudiziario enormemente più efficiente del nostro. I risultati sono stati modestissimi.
Consiglierei di mettere da parte, per una volta, il codice penale, da riservare ai soli sfruttatori. Delle salatissime sanzioni amministrative sarebbero deterrente più rapido, sicuro ed efficace. Almeno ci provino ad uccidere la zanzara con l'insetticida e non con il cannone. A volte funziona.

giovedì, dicembre 24, 2009

Se il problema carcerario ci riguarda....


Che il carcere sia” l’Università del crimine” è ormai una banalità. Eppure pochi partono da questa considerazione assodata e scontata per farne discenderne le logiche conseguenze. Se vogliamo una società più civile e sicura, non possiamo tralasciare le nostre prigioni e dimenticare coloro che ne sono reclusi. Non si tratta di fare del buonismo che, pur nell’attuale clima natalizio, non appartiene alla cultura di vi scrive ma di pensare in modo razionale al bene comune. E’ infatti nostro interesse realizzare condizioni per le quali i detenuti non peggiorino la loro “propensione al crimine” e intraprendano, al contrario, percorsi di recupero e riabilitazione sociale. Attualmente i detenuti per residui pena sino a tre anni sono esattamente 19.823. Un piccolo esercito di persone che, tra breve, sarà di nuovo (giustamente) costituito da “uomini liberi” in mezzo a noi. Le statistiche ci dicono che circa i due terzi di costoro, entro un anno, torneranno a delinquere. Colpa loro, non c’è dubbio. Ma un poco anche colpa nostra.
Il nuovo Pon Sicurezza, contrariamente al precedente, riteneva importante intervenire sulle categorie a “rischio”, quali gli ex detenuti, finanziando iniziative mirate di sostegno e prevedendo incentivi per il loro inserimento lavorativo. Qualcosa si dovrebbe tuttavia immaginare anche per coloro che sono ancora reclusi, collaborando con quelle (poche) cooperative serie di volontari. I soldi, anche se non molti, ci sono. Purchè, oltre ad “immaginare” poi i progetti si realizzino, cosa che non mi sembra si possa dire sia stato fatto sinora.

martedì, dicembre 22, 2009

Avvertenza per i lettori di questo blog

Per motivi che non sono ancora in grado di comprendere, i testi del blog sono soggetti automaticamente a modifiche che ne stravolgono il senso.
In attesa di porre rimedio a questo inconveniente, chiedo scusa agli amici che mi seguono e garantisco loro che non sono improvvisamente impazzito.

giovedì, dicembre 17, 2009

Ma la "quinta mafia" non esiste.


Sulla mafia si può dire e scrivere quello che si desidera con poca tema di essere smentiti. E' facile pertanto avanzare ipotesi suggestive - basate magari su indizi certamente reali . e pervenire a conclusioni quanto meno ardite. Una di queste "teorie" che piacciono tanto alla stampa non specialistica è stata diffusa ieri con titoli che potremmo riassumere nel "è stata scoperta la quinta mafia!". Dopo quella siciliana (cosa nostra), quella calabrese (ndrangheta) quella campana (camorra) e quella pugliese (sacra corona unita) sarebbe stata individuata anche una mafia "laziale", per la quale tuttavia non è stato ancora scelto un nome adeguato (un team di pubbliciari sembra che ci stia già lavorando).
Vediamo o fatti (assolutamente oggettivi):
1. Sono state dimostrate nel basso Lazio (provincia di Latina) forti presenze camorristiche e senza dubbio significativi appaiono gli interessi della camorra sulla costa pontina e sopratutto sul MOF di Fondi.
2. Sono stati dimostrati investimenti della 'Ndrangheta a Roma, in locali siti anche nei quartieri più importanti e nelle vie più lussuose.
3. E' presente a Roma una radicata delinquenza dedita allo spaccio, allo sfruttamento della prostituzione, all'estorsione e all'usura.
4. Inchieste hanno portato alla luce diversi crimini dei "colletti bianchi" nell'ambito, ad esempio, degli appalti.
Secondo alcuni, la contestuale presenza di questi quattro elementi dimostrerebbe che anche nel Lazio è ormai operante una mafia, diversa dalle precedenti e originale nelle sue forme.
Sono spiacente, ma mi sembra una teoria poco credibile e poco dimostrata. La prima cosa che salta infatti agli occhi è che i quattro elementi citati npn appaiono affatto collegati in alcun modo, anzi i primi due sono dichiaratamente attribuibili a mafie già esistenti, esogene dal Lazio e quasi mai in collaborazione tra loro. Il terzo elemento è presente da molti decenni (ricordate la banda della Magliana?) senza che mai a nessuno sia venuto in mente di conferirgli dignità di mafia. Il quarto elemento (di natura corruttiva) è sfortunatamente spalmato su tutto il territorio nazionale e non pare abbia una caratterizzazione laziale.
In secondo luogo, siamo sicuri che la contestuale presenza dei quattro elementi citati (anche se fossero - e non lo sono- collegati tra di loro) sarebbe sufficiente a definire "mafia" la criminalità laziale? Ho forti dubbi al riguardo. Almeno sino a quando penseremo che carattere distintivo di questa organizzazione criminale sia il capillare controllo del territorio e il radicale condizionamento di qualsivoglia attività produttiva.

lunedì, dicembre 14, 2009

Verso una nuova riscoperta del partenariato.


Sono certo che Virgilio Buscemi, uno dei più giovani e apprezzati valutatori italiani, confermerebbe il giudizio entusiasta che ebbe modo di esprimere nei confronti delle politiche di sicurezza che andavano emergendo agli inizi degli anni '90 quando si fece largo nel lessico del Ministero dell'interno la parola (ormai invero abusata) "partenariato". Lo studioso di Ecosfera indicò subito nel crescente spirito partenariale l'elemento di novità, ad esempio, della programmazione del Pon Sicurezza che si innestò perfettamente nel fermento di iniziative che le varie autorità locali andavano a mettere in cantiere in quegli anni sul versante di quella sicurezza che oggi definiamo "partecipata". Per molto tempo, si ritenne che la concertazione potesse diventare il nuovo modo di progettare sicurezza, al fine di non mettere in campo solo le (seppur necessarie) politiche di repressione ma anche una fitta congerie di iniziative di rafforzamento locale della legalità, teso a creare un tessuno sociale meno permeabile al crimine e meno disponibile alla rassegnazione.
La crisi economica e le note difficoltà finanziarie hanno messo in crisi quel modello. E oggi parlare di "partenariato" diviene più difficile e sofferto, creando la sensazione dolorosa che se ne possa discutere solo al passato remoto o, al massimo, facendo ampio uso del condizionale. Dalla collaborazione con le Regioni - ne sono testimoni i numerosi patti per la sicurezza stipulati negli ultimi anni - si cerca di ottenere, più che un contributo di idee, un contributo in denaro. I comuni hanno migliore fortuna nell'ambito operativo (grazie al dinamismo delle polizie municipali) ma anch'essi sembrano presidiare i bordi e non il centro del problema. In tempi di "vacche magre" anche le grandi idee vengono risparmiate e rinviate a tempi migliori.
Eppure esiste ancora lo spazio per conferire significato al valore dell'ascolto degli altri soggetti sociali interessati. Bisogna difenderlo quello spazio e spero che chi possa farlo non si sottragga a tale difesa. Non si tratta di denaro: non tutto è riconducibile a un problema di risorse. Si tratta sopratutto di metodo. La responsabilità della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica è affidata al Ministro dell'interno, Autorità Nazionale di PS. Chi mi conosce sa bene che ho sempre difeso, quando mi sembrava minacciato, questo diritto/dovere del ministro. Ma in democrazia la responsabilità non esclude il confronto e la discussione. Perchè - come mi ha insegnato Luca Celi - in Italia ancor più che di denaro, abbiamo urgente bisogno di buone idee.

sabato, dicembre 12, 2009

Per quanto tempo possono essere conservate le immagini della videosorveglianza?


La disciplina della conservazione delle immagini derivanti da videosorveglianza è contenuta, in primo luogo, nel paragrafo 3.4 del Provvedimento generale del 29 aprile 2004 del Garante per la protezione dei dati personali . In linea generale, questa disposizione statuisce che la conservazione debba essere limitata a poche ore o, al massimo, alle ventiquattro ore successive la loro registrazione. Tuttavia sono previste esplicitamente alcune deroghe, quali, ad esempio, la richiesta investigativa dell'autorità giudiziaria o della P.G. oppure - nei limiti dei sette giorni - i casi per i quali possa risultare giustificata l'esigenza di identificazione di persone nei giorni precedenti un evento (che deve comunque sussistere). L'esempio più evidente di questa seconda ipotesi è la rapina in banca, delitto per il quale può essere utile cercare di individuare i rapinatori nell'atto di effettuare il necessario "sopralluogo" che precede tale crimine.
Altra deroga alla disciplina generale (24 ore) è contenuta nella videosorveglianza finalizzata all'attuazione di piani straordinari di controllo del territorio ex art. 6 del D.L.29 febbraio 2009 n. 11 convertito con legge 23 aprile 2009 n. 38 che prevede la possibilità per i comuni, nell'ambito della tutela della sicurezza urbana, di avvalersi di sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico nonchè di conservare le immagini per i sette giorni successivi alla registrazione.
Riteniamo pertanto, a questo punto, che i "sette giorni" sotto l'aspetto sostanziale non rappresentino più una mera 'ipotesi di deroga" al regime generale dell'immediata ( o al massimo nelle successive ventiquattro ore) distruzione delle immagini registrate per divenire la condotta pià comunemente adottata. Permane peraltro la già prevista eventualità che A.G. o polizia giudiziaria, nei casi previsti, ne ordino una conservazione ancora più lunga.

giovedì, dicembre 10, 2009

presentazione del Primo Rapporto European Migration Network


Il mio amico Antonio Ricci della Caritas/Migrantes non si dimentica mai di informarmi delle sue iniziative, prima su tutte l'annuale redazione del Rapporto sull'Immigrazione, sulla base del quale (lo dico con fierezza) furono scientificamente costruite tutte le asserzioni a fondamento dell'obiettivo "impatto migratorio", all'interno del Pon Sicurezza, che tanto piacquero alla commissone europea. Il mio amico mi informa adesso (pur avendo perso la speranxa di vedermi partecipare) che venerdì 18 dicembre 2009, alle ore 11, presso la biblioteca del CNEL, in via Lubin 2, avrà luogo la pubblica presentazione del Primo Rapporto European Migration Network, rete di cui il Ricci è "punto di contatto" per l'Italia. Il Rapporto è frutto della collaborazione tra EMN, CNEL e Ministero dell'Interno e non dubito che sia quanto di più documentato possa essere pubblicato oggi mel nostro Paese in materia di politiche migratorie e lavoratori qualificati, sopratutto nel settore sanitario.
Farò di tutto per esserci.

La sicurezza nei fondi strutturali, tra futuro e storia.

Presso la Scuola di Perfezionamento Interforze del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, alla presenza del Vice Capo della Polizia Pref. Paola Basilone, ha avuto inizio oggi un importante seminario formativo sui programmi finanziari comunitari a cui hanno partecipato esponenti della Commissione Europea, della Presidenza del Consiglio, dei Ministeri dello Sviluppo Economico e della Giustizie e, naturalmente, del Ministero dell'Interno. Il tema dell'incontro era vasto ed impegnativo ma - trattandosi di esperienza che aveva visto protagonisti molti dei presenti - si è scivolati inevitabilmente a discutere sopratutto del Pon Sicurezza.
Secondo il dott. Andrea Murgia, funzionario della DG REGIO della Commissione Europea, il Programma non solo è unico nel suo genere in Europa ma è anche tra i più performanti sul piano della spesa. Eccellenti sono stati anche i risultati del periodo 2000-2006 ed eccellenti rimangono quelli relativi al primo asse dell'attuale programmazione. Le difficoltà registrate nell'asse sociale sarebbero, secondo il funzionario della commissione, da attribuirsi prevalentemente ai problemi connessi al rapporto partenariale. Il dott. Tommaso Tranfaglia, del Ministero dello Sviluppo economico, dopo aver sommariamente illustrato il programma, ha segnalato l'esigenza di guardare anche alla qualità della spesa, affinchè il doveroso timore di evitare il disimpegno automatico non sia pregiudizievole al perseguimento degli obiettivi prefissati. Occorre evitare, a parere, del dirigente di Via Sicilia, di "finanziare ristrutturazioni fine a se stesse" che, in materia di beni confiscati alla criminalità organizzata e non ricondotti a produttività, hanno un duplice effetto negativo.
Intenso e in qualche misura commosso è stato il ricordo degli esordi del Programma evocati da Enrico Savio che, prima di illustrare un progetto di grande interesse, ha reso omaggio alle persone - una tra tutti Giancarlo Dionisi - che dettero l'avvio a questa grande avventura.

giovedì, dicembre 03, 2009

La domanda di sicurezza e la riorganizzazione delle Forze dell'ordine sul territorio.



Presso la sede dell'ABI a Roma, si è svolto il 2 dicembre un pubblico incontro col Ministro dell'Interno, Roberto Maroni, nel corso del quale sono state analizzate le prospettive della sicurezza anticrimine in Italia. Non è la prima volta, da quando conosco l'instancabile Marco Iaconis, che vengo a conoscenza di autorevoli momenti di riflessione a Palazzo Altieri su problematiche relative alla sicurezza, ma solitamente si tratta di temi che, direttamente o indirettamente, si richiamano alla prevenzione dalle rapine, sopratutto da quelle ai danni di istituti bancari.
Se ben comprendo quello che leggo (ormai il vostro bloggista non lo invita più nessuno!) quest'ultimo incontro ha avuto un taglio ben diverso e, per taluni aspetti, si è rivolto esplicitamente alle ploblematiche generali di ordine e sicurezza pubblica, chiamando in causa le agenzie di controllo sociale che hanno la responsabilità della sicurezza primaria. Se il Prof. Giovanni Mastrobuoni, professore del Collegio Carlo Alberto dell'Università di Torino, ha infatti illustrato il tema canonico della "Deterrenza generica e abilità dei rapinatori", il Prof. Ernesto Savona, che come i nostri lettori sanno è professore di criminologia all'Università Cattolica di Milano, ha affrontato un tema di particolare spinosità e cioè quello della "riorganizzazione delle forze di polizia" alla luce della domanda di sicurezza che emerge dai variegati contesti territoriali.
Un tema delicatissimo, reso ancor più complesso dalle note e generalizzate difficoltà economiche che affliggono l'esecutivo e che impongono una seria razionalizzazione delle risorse umane sul territorio. Sono sicuro pertanto che il Ministro Maroni avrà ascoltato con interesse.

Il mesto significato dell'abbandono della Sicilia da parte dell'azienda Averna.


Dopo oltre 150 anni di attività, il gruppo Averna, azienda leader nei liquori e principale industria della provincia di Caltanissetta, si accinge ad abbandonare la Sicilia, dove offre lavoro ad oltre trecento persone, e a trasferire la propria produzione in Emilia Romagna, in provincia di Modena. Un risultato veramente eccezionale, dopo decenni di investimenti nazionali e comunitari diretti al nostro Mezzogiorno con fine precipuo di valorizzare l'imprenditoria locale, contrastare la disoccupazione ed incentivare la delocalizzazione delle imprese europee e settentrionali nelle regioni in ritardo di sviluppo. Dopo tutto questo, l'impresa più importante di una provincia siciliana decide di fare le valigie e trasferirsi in un territorio in cui giammai è stato speso un euro per "invogliare" l'arrivo di capitali di altri siti ma che gode di un consolidato reticolo di strutture a sostegno della produzione e dei lavoratori, di una burocrazia sana, di amministratori mediamente validi e, ultimo ma non ultimo, di una croiminalità contenuta a livelli fisiologici. Difficile censurare Averna per questa sua decisione, logica e opportuna da un punto di vista imprenditoriale. Ma essa suona come una sinistra campana a morto per tanti proclami, tante strategie, tanti programmi di sviluppo, tante velleitarie "volontà di riscatto", tante speranze ingenue, illuse ed illusorie.