mercoledì, dicembre 30, 2009

Contro la prostituzione, niente grida manzoniane per favore...


Esiste una brutta abitudine nella politica italiana che sembra veramente impossibile estirpare: quando si vuole fornire all'opinione pubblica l'esatta dimensione della severità con la quale si intende combattere un nefasto comportamento sociale, lo si "penalizza", gli si attribuisce, cioè, una sanzione penale. In un sistema giudiziario come il nostro, lento e farraginoso e con gli organici dei magistrati e cancellieri al collasso, conferire ad un comportamento (certamente da sanzionare) il carattere di fattispecie criminale, significa di fatto sparare col cannone per non uccidere la zanzara. A questo vezzo sembra indugere anche la bella ministra per le pari opportunità, on. Carfagna, che ha commendevolmente deciso di partire per la nobile guerra contro la prostituzione, effettivamente una delle piaghe del nostro Paese e una fonte di reddito per la criminalità organizzata. Cosa intende fare di concreto? Lo spiega lei stessa alla "Stampa" di oggi: in commissione si è dibattuto su sanzione penale o amministrativa. Comunque non si scappa il cliente deve essere punito». E anche la prostituta? «Si ma in una funzione di aiuto, per toglierla dalla strada. La prostituzione sarà considerata reato in pubblico e nei luoghi pubblici, come i bar, i night. E ci saranno pene più severe con l'estensione dell'associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione."
Se ben comprendo, avremo migliaia di processi contro prostitute, protettori, proprietari di bar e locali notturni, albergatori, tassisti compiacenti e favoreggiatori nonchè, assai probabilmente, decine e decine di migliaia di clienti. Poco male se questa fosse la strada giusta per eliminare il fenomeno. Mi permetto, tuttavia di dubitarne. Ci hanno provato giò in Svezia, dove questo comportamento deviante era di dimensioni assai contenute e il sistema giudiziario enormemente più efficiente del nostro. I risultati sono stati modestissimi.
Consiglierei di mettere da parte, per una volta, il codice penale, da riservare ai soli sfruttatori. Delle salatissime sanzioni amministrative sarebbero deterrente più rapido, sicuro ed efficace. Almeno ci provino ad uccidere la zanzara con l'insetticida e non con il cannone. A volte funziona.

giovedì, dicembre 24, 2009

Se il problema carcerario ci riguarda....


Che il carcere sia” l’Università del crimine” è ormai una banalità. Eppure pochi partono da questa considerazione assodata e scontata per farne discenderne le logiche conseguenze. Se vogliamo una società più civile e sicura, non possiamo tralasciare le nostre prigioni e dimenticare coloro che ne sono reclusi. Non si tratta di fare del buonismo che, pur nell’attuale clima natalizio, non appartiene alla cultura di vi scrive ma di pensare in modo razionale al bene comune. E’ infatti nostro interesse realizzare condizioni per le quali i detenuti non peggiorino la loro “propensione al crimine” e intraprendano, al contrario, percorsi di recupero e riabilitazione sociale. Attualmente i detenuti per residui pena sino a tre anni sono esattamente 19.823. Un piccolo esercito di persone che, tra breve, sarà di nuovo (giustamente) costituito da “uomini liberi” in mezzo a noi. Le statistiche ci dicono che circa i due terzi di costoro, entro un anno, torneranno a delinquere. Colpa loro, non c’è dubbio. Ma un poco anche colpa nostra.
Il nuovo Pon Sicurezza, contrariamente al precedente, riteneva importante intervenire sulle categorie a “rischio”, quali gli ex detenuti, finanziando iniziative mirate di sostegno e prevedendo incentivi per il loro inserimento lavorativo. Qualcosa si dovrebbe tuttavia immaginare anche per coloro che sono ancora reclusi, collaborando con quelle (poche) cooperative serie di volontari. I soldi, anche se non molti, ci sono. Purchè, oltre ad “immaginare” poi i progetti si realizzino, cosa che non mi sembra si possa dire sia stato fatto sinora.

martedì, dicembre 22, 2009

Avvertenza per i lettori di questo blog

Per motivi che non sono ancora in grado di comprendere, i testi del blog sono soggetti automaticamente a modifiche che ne stravolgono il senso.
In attesa di porre rimedio a questo inconveniente, chiedo scusa agli amici che mi seguono e garantisco loro che non sono improvvisamente impazzito.

giovedì, dicembre 17, 2009

Ma la "quinta mafia" non esiste.


Sulla mafia si può dire e scrivere quello che si desidera con poca tema di essere smentiti. E' facile pertanto avanzare ipotesi suggestive - basate magari su indizi certamente reali . e pervenire a conclusioni quanto meno ardite. Una di queste "teorie" che piacciono tanto alla stampa non specialistica è stata diffusa ieri con titoli che potremmo riassumere nel "è stata scoperta la quinta mafia!". Dopo quella siciliana (cosa nostra), quella calabrese (ndrangheta) quella campana (camorra) e quella pugliese (sacra corona unita) sarebbe stata individuata anche una mafia "laziale", per la quale tuttavia non è stato ancora scelto un nome adeguato (un team di pubbliciari sembra che ci stia già lavorando).
Vediamo o fatti (assolutamente oggettivi):
1. Sono state dimostrate nel basso Lazio (provincia di Latina) forti presenze camorristiche e senza dubbio significativi appaiono gli interessi della camorra sulla costa pontina e sopratutto sul MOF di Fondi.
2. Sono stati dimostrati investimenti della 'Ndrangheta a Roma, in locali siti anche nei quartieri più importanti e nelle vie più lussuose.
3. E' presente a Roma una radicata delinquenza dedita allo spaccio, allo sfruttamento della prostituzione, all'estorsione e all'usura.
4. Inchieste hanno portato alla luce diversi crimini dei "colletti bianchi" nell'ambito, ad esempio, degli appalti.
Secondo alcuni, la contestuale presenza di questi quattro elementi dimostrerebbe che anche nel Lazio è ormai operante una mafia, diversa dalle precedenti e originale nelle sue forme.
Sono spiacente, ma mi sembra una teoria poco credibile e poco dimostrata. La prima cosa che salta infatti agli occhi è che i quattro elementi citati npn appaiono affatto collegati in alcun modo, anzi i primi due sono dichiaratamente attribuibili a mafie già esistenti, esogene dal Lazio e quasi mai in collaborazione tra loro. Il terzo elemento è presente da molti decenni (ricordate la banda della Magliana?) senza che mai a nessuno sia venuto in mente di conferirgli dignità di mafia. Il quarto elemento (di natura corruttiva) è sfortunatamente spalmato su tutto il territorio nazionale e non pare abbia una caratterizzazione laziale.
In secondo luogo, siamo sicuri che la contestuale presenza dei quattro elementi citati (anche se fossero - e non lo sono- collegati tra di loro) sarebbe sufficiente a definire "mafia" la criminalità laziale? Ho forti dubbi al riguardo. Almeno sino a quando penseremo che carattere distintivo di questa organizzazione criminale sia il capillare controllo del territorio e il radicale condizionamento di qualsivoglia attività produttiva.

lunedì, dicembre 14, 2009

Verso una nuova riscoperta del partenariato.


Sono certo che Virgilio Buscemi, uno dei più giovani e apprezzati valutatori italiani, confermerebbe il giudizio entusiasta che ebbe modo di esprimere nei confronti delle politiche di sicurezza che andavano emergendo agli inizi degli anni '90 quando si fece largo nel lessico del Ministero dell'interno la parola (ormai invero abusata) "partenariato". Lo studioso di Ecosfera indicò subito nel crescente spirito partenariale l'elemento di novità, ad esempio, della programmazione del Pon Sicurezza che si innestò perfettamente nel fermento di iniziative che le varie autorità locali andavano a mettere in cantiere in quegli anni sul versante di quella sicurezza che oggi definiamo "partecipata". Per molto tempo, si ritenne che la concertazione potesse diventare il nuovo modo di progettare sicurezza, al fine di non mettere in campo solo le (seppur necessarie) politiche di repressione ma anche una fitta congerie di iniziative di rafforzamento locale della legalità, teso a creare un tessuno sociale meno permeabile al crimine e meno disponibile alla rassegnazione.
La crisi economica e le note difficoltà finanziarie hanno messo in crisi quel modello. E oggi parlare di "partenariato" diviene più difficile e sofferto, creando la sensazione dolorosa che se ne possa discutere solo al passato remoto o, al massimo, facendo ampio uso del condizionale. Dalla collaborazione con le Regioni - ne sono testimoni i numerosi patti per la sicurezza stipulati negli ultimi anni - si cerca di ottenere, più che un contributo di idee, un contributo in denaro. I comuni hanno migliore fortuna nell'ambito operativo (grazie al dinamismo delle polizie municipali) ma anch'essi sembrano presidiare i bordi e non il centro del problema. In tempi di "vacche magre" anche le grandi idee vengono risparmiate e rinviate a tempi migliori.
Eppure esiste ancora lo spazio per conferire significato al valore dell'ascolto degli altri soggetti sociali interessati. Bisogna difenderlo quello spazio e spero che chi possa farlo non si sottragga a tale difesa. Non si tratta di denaro: non tutto è riconducibile a un problema di risorse. Si tratta sopratutto di metodo. La responsabilità della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica è affidata al Ministro dell'interno, Autorità Nazionale di PS. Chi mi conosce sa bene che ho sempre difeso, quando mi sembrava minacciato, questo diritto/dovere del ministro. Ma in democrazia la responsabilità non esclude il confronto e la discussione. Perchè - come mi ha insegnato Luca Celi - in Italia ancor più che di denaro, abbiamo urgente bisogno di buone idee.

sabato, dicembre 12, 2009

Per quanto tempo possono essere conservate le immagini della videosorveglianza?


La disciplina della conservazione delle immagini derivanti da videosorveglianza è contenuta, in primo luogo, nel paragrafo 3.4 del Provvedimento generale del 29 aprile 2004 del Garante per la protezione dei dati personali . In linea generale, questa disposizione statuisce che la conservazione debba essere limitata a poche ore o, al massimo, alle ventiquattro ore successive la loro registrazione. Tuttavia sono previste esplicitamente alcune deroghe, quali, ad esempio, la richiesta investigativa dell'autorità giudiziaria o della P.G. oppure - nei limiti dei sette giorni - i casi per i quali possa risultare giustificata l'esigenza di identificazione di persone nei giorni precedenti un evento (che deve comunque sussistere). L'esempio più evidente di questa seconda ipotesi è la rapina in banca, delitto per il quale può essere utile cercare di individuare i rapinatori nell'atto di effettuare il necessario "sopralluogo" che precede tale crimine.
Altra deroga alla disciplina generale (24 ore) è contenuta nella videosorveglianza finalizzata all'attuazione di piani straordinari di controllo del territorio ex art. 6 del D.L.29 febbraio 2009 n. 11 convertito con legge 23 aprile 2009 n. 38 che prevede la possibilità per i comuni, nell'ambito della tutela della sicurezza urbana, di avvalersi di sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico nonchè di conservare le immagini per i sette giorni successivi alla registrazione.
Riteniamo pertanto, a questo punto, che i "sette giorni" sotto l'aspetto sostanziale non rappresentino più una mera 'ipotesi di deroga" al regime generale dell'immediata ( o al massimo nelle successive ventiquattro ore) distruzione delle immagini registrate per divenire la condotta pià comunemente adottata. Permane peraltro la già prevista eventualità che A.G. o polizia giudiziaria, nei casi previsti, ne ordino una conservazione ancora più lunga.

giovedì, dicembre 10, 2009

presentazione del Primo Rapporto European Migration Network


Il mio amico Antonio Ricci della Caritas/Migrantes non si dimentica mai di informarmi delle sue iniziative, prima su tutte l'annuale redazione del Rapporto sull'Immigrazione, sulla base del quale (lo dico con fierezza) furono scientificamente costruite tutte le asserzioni a fondamento dell'obiettivo "impatto migratorio", all'interno del Pon Sicurezza, che tanto piacquero alla commissone europea. Il mio amico mi informa adesso (pur avendo perso la speranxa di vedermi partecipare) che venerdì 18 dicembre 2009, alle ore 11, presso la biblioteca del CNEL, in via Lubin 2, avrà luogo la pubblica presentazione del Primo Rapporto European Migration Network, rete di cui il Ricci è "punto di contatto" per l'Italia. Il Rapporto è frutto della collaborazione tra EMN, CNEL e Ministero dell'Interno e non dubito che sia quanto di più documentato possa essere pubblicato oggi mel nostro Paese in materia di politiche migratorie e lavoratori qualificati, sopratutto nel settore sanitario.
Farò di tutto per esserci.

La sicurezza nei fondi strutturali, tra futuro e storia.

Presso la Scuola di Perfezionamento Interforze del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, alla presenza del Vice Capo della Polizia Pref. Paola Basilone, ha avuto inizio oggi un importante seminario formativo sui programmi finanziari comunitari a cui hanno partecipato esponenti della Commissione Europea, della Presidenza del Consiglio, dei Ministeri dello Sviluppo Economico e della Giustizie e, naturalmente, del Ministero dell'Interno. Il tema dell'incontro era vasto ed impegnativo ma - trattandosi di esperienza che aveva visto protagonisti molti dei presenti - si è scivolati inevitabilmente a discutere sopratutto del Pon Sicurezza.
Secondo il dott. Andrea Murgia, funzionario della DG REGIO della Commissione Europea, il Programma non solo è unico nel suo genere in Europa ma è anche tra i più performanti sul piano della spesa. Eccellenti sono stati anche i risultati del periodo 2000-2006 ed eccellenti rimangono quelli relativi al primo asse dell'attuale programmazione. Le difficoltà registrate nell'asse sociale sarebbero, secondo il funzionario della commissione, da attribuirsi prevalentemente ai problemi connessi al rapporto partenariale. Il dott. Tommaso Tranfaglia, del Ministero dello Sviluppo economico, dopo aver sommariamente illustrato il programma, ha segnalato l'esigenza di guardare anche alla qualità della spesa, affinchè il doveroso timore di evitare il disimpegno automatico non sia pregiudizievole al perseguimento degli obiettivi prefissati. Occorre evitare, a parere, del dirigente di Via Sicilia, di "finanziare ristrutturazioni fine a se stesse" che, in materia di beni confiscati alla criminalità organizzata e non ricondotti a produttività, hanno un duplice effetto negativo.
Intenso e in qualche misura commosso è stato il ricordo degli esordi del Programma evocati da Enrico Savio che, prima di illustrare un progetto di grande interesse, ha reso omaggio alle persone - una tra tutti Giancarlo Dionisi - che dettero l'avvio a questa grande avventura.

giovedì, dicembre 03, 2009

La domanda di sicurezza e la riorganizzazione delle Forze dell'ordine sul territorio.



Presso la sede dell'ABI a Roma, si è svolto il 2 dicembre un pubblico incontro col Ministro dell'Interno, Roberto Maroni, nel corso del quale sono state analizzate le prospettive della sicurezza anticrimine in Italia. Non è la prima volta, da quando conosco l'instancabile Marco Iaconis, che vengo a conoscenza di autorevoli momenti di riflessione a Palazzo Altieri su problematiche relative alla sicurezza, ma solitamente si tratta di temi che, direttamente o indirettamente, si richiamano alla prevenzione dalle rapine, sopratutto da quelle ai danni di istituti bancari.
Se ben comprendo quello che leggo (ormai il vostro bloggista non lo invita più nessuno!) quest'ultimo incontro ha avuto un taglio ben diverso e, per taluni aspetti, si è rivolto esplicitamente alle ploblematiche generali di ordine e sicurezza pubblica, chiamando in causa le agenzie di controllo sociale che hanno la responsabilità della sicurezza primaria. Se il Prof. Giovanni Mastrobuoni, professore del Collegio Carlo Alberto dell'Università di Torino, ha infatti illustrato il tema canonico della "Deterrenza generica e abilità dei rapinatori", il Prof. Ernesto Savona, che come i nostri lettori sanno è professore di criminologia all'Università Cattolica di Milano, ha affrontato un tema di particolare spinosità e cioè quello della "riorganizzazione delle forze di polizia" alla luce della domanda di sicurezza che emerge dai variegati contesti territoriali.
Un tema delicatissimo, reso ancor più complesso dalle note e generalizzate difficoltà economiche che affliggono l'esecutivo e che impongono una seria razionalizzazione delle risorse umane sul territorio. Sono sicuro pertanto che il Ministro Maroni avrà ascoltato con interesse.

Il mesto significato dell'abbandono della Sicilia da parte dell'azienda Averna.


Dopo oltre 150 anni di attività, il gruppo Averna, azienda leader nei liquori e principale industria della provincia di Caltanissetta, si accinge ad abbandonare la Sicilia, dove offre lavoro ad oltre trecento persone, e a trasferire la propria produzione in Emilia Romagna, in provincia di Modena. Un risultato veramente eccezionale, dopo decenni di investimenti nazionali e comunitari diretti al nostro Mezzogiorno con fine precipuo di valorizzare l'imprenditoria locale, contrastare la disoccupazione ed incentivare la delocalizzazione delle imprese europee e settentrionali nelle regioni in ritardo di sviluppo. Dopo tutto questo, l'impresa più importante di una provincia siciliana decide di fare le valigie e trasferirsi in un territorio in cui giammai è stato speso un euro per "invogliare" l'arrivo di capitali di altri siti ma che gode di un consolidato reticolo di strutture a sostegno della produzione e dei lavoratori, di una burocrazia sana, di amministratori mediamente validi e, ultimo ma non ultimo, di una croiminalità contenuta a livelli fisiologici. Difficile censurare Averna per questa sua decisione, logica e opportuna da un punto di vista imprenditoriale. Ma essa suona come una sinistra campana a morto per tanti proclami, tante strategie, tanti programmi di sviluppo, tante velleitarie "volontà di riscatto", tante speranze ingenue, illuse ed illusorie.

lunedì, novembre 30, 2009

E' in arrivo il nuovo Rapporto Censis


Venerdì 4 dicembre, alle ore 10.00, presso la sede del CNEL a Roma, avrà luogo la presentazione del 43° Rapporto Annuale Censis sulla situazione sociale del paese, periodico appuntamento per tutti coloro che voglione capire o almeno cercare di capire quello che accade in Italia. Ovviamente, anche se tutto il Rapporto è interessante, la parte che personalmente leggo con maggior interesse è quella relativa alla situazione della sicurezza. Si tratta di un capitolo scritto sempre molto bene (credo che vi sia la mano anche della nostra amica Anna Italia) e che, nell'edizione del 2008, ha seguito non solo le due direttrici più "alla moda": l'immigrazione e l'accresciuta presenza delle polizie locali ma anche profili meno scontati come la contraffazione, il riemergere della corruzione e, ultimo ma non ultimo, il fenomeno del bullismo.
Mi è sembrata un'impostazione in sintonia con il testo del Pon 2007-13 che se aveva un merito rispetto alla precedente edizione - scritta in buona parte da uno sciagurato funzionario di mia conoscenza - era quello di aver individuato nella contraffezione di marchi un vero attentato alla nostra economia (che, se non stroncato, causerà danni inreparabili al "made in Italy") e nell'anticipazione dell'intervento di prevenzione a fenomeni prodromici come il bullismo, la nuova frontiera delle politiche regionali di sicurezza per lo sviluppo. Tale parte di quel programma mi sembra tuttavia la meno attuata e, forse, la meno condivisa. Ben venga, quindi, questo nuovo Rapporto, sopratutto se avrà l'intendimento di insistere su questi temi ed altri analoghi, portando auterevole e documentata argomentazione alle tesi di chi, se aveva forse capito, non ha saputo spiegare e, se ha saputo spiegare, non è stato comunque convincente.

venerdì, novembre 27, 2009

Vendere o non vendere i beni confiscati alla criminalità organizzata?


Nell'assemblea di ieri 26 novembre, il Comitato Nazionale per l'Economia e il Lavoro (CNEL) all'unanimità, ha definito «assolutamente indispensabile mantenere l'asse portante della legge 109/96 che vieta la vendita dei beni confiscati e destina gli stessi ai Comuni, allo Stato, alla società civile, alle cooperative di giovani e di lavoratori. La vendita all'asta - dice il Cnel - è decisamente da evitarsi». Piuttosto, aggiunge l'organismo, è necessario che il governo rimuova i problemi emersi nell'applicazione della legge. Assegnando a una apposita agenzia presso la Presidenza del consiglio il compito di gestire i beni confiscati, dotandola di poteri, fondi e personale per «assicurare, in tempi certi, che il bene sia definitivamente consegnato all'assegnatario»(fonte "L'Avvenire")
Devo confessare di aver condiviso per anni questa posizione; i beni confiscati alla mafia sono stati, infatti, l'asse portante di gran parte delle politiche di diffusione della legalità - realizzate grazie al contributo degli enti locali e dell'associazionismo - progettate dal Programma Operativo Nazionale "Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno". Oggi, tuttavia, sono molto meno convinto.
I motivi del mio relativo ripensamento sono semplici: salvo poche eccezioni (Libera) è difficile trovare interlocutori sociali validi a cui affidare questi beni in modo da essere certi di un loro utilizzo sia produttivo sia "emblematico". Non sono rari i casi in cui, al contrario, questi beni siano stati sottulizzati o praticamente abbandonati. A quel punto, il famoso "valore simbolico" della sottrazione a mani mafiose e della riconsegna alla legalità non solo viene meno ma si appalesa addirittura mortificante.
Giustamente è stato detto "vendendo i beni, potrebbero essere riacquistati da mafosi e camorristi". E' possibile che, in qualche caso, ciò accada. Ma sarebbe veramente così grave? Qualora il denaro utilizzato per il riacquisto non fosse legale, cosa vieterebbe di riconfiscare il bene? Tutto mi sembra preferibile, in definitiva, all'inerzia e al degrado di cui soffrono alcune risorse già appartenenti alla criminalità ed ora nella disponibilità dello stato e dubito fortemente che le cose migliorebbero in modo sensibile se il tutto fosse affidato al qualche "agenzia" presso la presidenza del consiglio. Ma forse io sono solo un inguaribile pessimista.

giovedì, novembre 26, 2009

Il Governatore Draghi denuncia: le infiltraziooni criminali non consentiranno mai al nostro Sud di decollare.


ROMA (26 novembre) - La criminalità organizzata è infiltrata nelle pubbliche amministrazioni del Sud. Il Mezzogiorno presenta «scarti allarmanti» rispetto al centro-nord nei servizi essenziali quali istruzione, giustizia civile, assistenza sociale, trasporti e Sanità. Lo ha sottolineato il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, aprendo un convegno di Bankitalia sul Mezzogiorno.

Criminalità infiltra pubbliche amministrazioni. «Grava su ampie parti del nostro Sud il peso della criminalità organizzata. Essa infiltra le pubbliche amministrazioni, inquina la fiducia fra i cittadini, ostacola il funzionamento del libero mercato concorrenziale, accresce i costi della vita economica e civile». «Alla radice dei problemi del Sud stanno la carenza di fiducia tra cittadini e tra cittadini e istituzioni, la scarsa attenzione prestata al rispetto delle norme l'insufficiente controllo esercitato dagli elettori nei confronti degli amministratori eletti, il debole spirito di cooperazione: è carente quello che viene definito “capitale sociale”».

«Da lungo tempo i risultati economici del Mezzogiorno d'Italia sono deludenti». «Il divario di Pil pro-capite rispetto al Centro Nord - ha spiegato Draghi - è rimasto sostanzialmente immutato per 30 anni: nel 2008 era pari a circa 40 punti percentuali. Il Sud, in cui vive un terzo degli italiani, produce un quarto del prodotto nazionale lordo» rimane il territorio arretrato più esteso e più popoloso dell'area dell'euro». Draghi ha sottolineato che »un sentiero di crescita più elevato di quello dello scorso decennio è essenziale per la stabilità finanziaria; per abbattere il debito pubblico; per potenziare le nostre infrastrutture« e »per ridurre il prelievo fiscale». Draghi ha poi sottolineato che «il processo di cambiamento è troppo lento».

«Non è quella delle politiche regionali la via maestra per chiudere il divario tra il Mezzogiorno e il centro-nord». Draghi ha sottolineato che il federalismo fiscale «sarà un'occasione per rendere più efficace l'azione pubblica solo se l'imposizione e la spesa a livello decentrato premieranno l'efficienza, solo se gli amministratori locali saranno capaci di indirizzare le risorse verso gli usi più produttivi e le priorità più urgenti». Altrimenti - ha detto Draghi - «i divari si aggraveranno». (da "Il Messaggero on line)

Impossibile dare torto al Governatore. Semmai l'accusa che gli sarà rivolta sarà quella di "aver impiegato troppo tempo" per accorgersi di quello che gli italiani, sopratutto meridionali, conoscono da anni. Tuttavia, due osservazioni possono essergli mosse. La prima concerne la condanna senza appello che lui rivolge alle "politiche regionali". Non è tanto lo strumento ad essere inefficace quanto il modo con cui viene adoperato. Le politiche regionali di sviluppo in altri Paesi (ma anche in Italia) si sono dimostrate validissimo canale di spesa, capace di innestatre il circuito virtuoso di sviluppo a cui sono finalizzate. Nel Sud ciò non accade perchè le risorse sono aggredite quasi alla fonte e piegate ad interessi opachi quando non addirittura criminali. La seconda osservazione concerne il territorio: il meridione non è tutto uguale ed è opportuno distinguere. Ma la domanda da farci è "dove dunque investire"? Colà ove la situazione è più grave (è perchè è più grave?) oppure colà ove il territorio promette di utilizzare con maggior legalità ed efficienza le risorse finanziarie? Io non avrei dubbi. La seconda che ho detto.

mercoledì, novembre 18, 2009

Il Prefetto Paola Basilone sulla poltrona che fu di Procaccini.

Peccato che l'unica foto reperibile sul Web (tratta dal Mattino di Napoli) non renda giustizia al Prefetto Paola Basilone che vi appare col piglio sinistro del ricercato dalla legge. Si tratta, al contrario, di persona certamente decisa e determinata ma anche provvista di non comune simpatia e di una carica umana straordinaria. Il Ministro Maroni, che in questi mesi deve avere imparato ad apprezzarla, aveva un tono vagamente gigionesco quando ha comunicato alla stampa di aver deciso di nominarla Vice Capo della Polizia, aggiungendo con entusismo la notizia, poi risultasta falsa, che si trattava della prima donna a ricoprire il prestigioso incarico.
Paola Basilone è un prefetto ancora molto giovane e certamente in grado di fornire un contributo importante e duraturo all'Amministrazione dello Stato. Non sappiamo se toccherà a lei, sulla falsariga del suo grande predecessore Giuseppe Procaccini, interessarsi di Sicurezza per lo Sviluppo, giacchè da qualche anno il Ministero dell'Interno preferisce conferire tale compito al Vice Capo della Polizia Vicario, che peraltro opera con grande successo. Se così fosse, tuttavia, ne saremmo lieti: il prefetto Basilone ha infatti grande esperienza di rapporti interistituzionali, si è interessata attivamente di patti per la sicurezza e gode fama di equilibrio e ragionevolezza. Dirigendo l'Ufficio di corrdinamento ha acquisito anche notevole esperienza internazionale (che nei rapporti con la commissione europea non guasta). Potrebbe essere una lieta sorpresa.

martedì, novembre 17, 2009

Felice Romano al congresso radicale


Il Segretario del Siulp, Felice Romano, ha svolto un appassionato intervento nel corso del VII congrasso dei Radicali italiani svoltosi qualche giorno fa a Chianciano. Lo ho ascoltato, con grande interesse, alla radio e mi spiace non averne trovato il testo. Il resocondo che il partito radicale ne propone mi sembra riduttivo, limitandosi a scrivere che il congresso "ringrazia in particolare il rappresentante del Siulp Felice Romano, che nel suo intervento, a nome di tutte le organizzazioni promotrici, ha denunciato il tentativo in corso di militarizzare e depotenziare le forze di sicurezza, mortificandone la professionalità e distruggendone le risorse umane, anche con demagogici e dannosi provvedimenti quali l’impiego dell’esercito in funzioni di ordine pubblico e l’improvvida creazione di ronde di cittadini privati; ne condivide la denuncia, si impegna a sostenerne le legittime rivendicazioni".
In verità, l'intervento del sindacalista (che conosco da anni e di cui apprezzo l'onestà intellettuale) si è posto su di un piano diverso dalle semplice critica politica a provvedimenti governativi di discutibile efficacia. Egli ha colto, infatti, che il tema "rivoluzionario" di questi giorni è stata la grande manifestazione che ha visto scendere in piazza quarantamila poliziottti, lavoratori che nel loro DNA non hanno certamente la pubblica protesta. Che cosa li ha spinti e che valore conferire a questa manifestazione? Non si è trattato - a ben sentire le parole di Romano - di una mera rivendicazione salariale. Il vero problema è che le forze di polizia sentono vacillare la stima e la considerazione istituzionale che, nel variar di color politico dei vari governi, era tuttavia rimasta come una costante. Alcune forze politiche sembrano vagheggiare soluzioni nuove, diverse, alternative a quella che per anni hanno individuato nella nostra polizia e nei carabinieri le armi contro l'illegalità e il crimine, soluzioni meno costose e pià vicine a modelli federativi. L'inquietitudine nasce sopratutto da questo e non basterà qualche soldo in più in busta paga per sanarla.

lunedì, novembre 16, 2009

A margine di un Manuale Antirapina


Si può recensire un libro senza averlo preventivamente letto? Credo che non esista abitudine tanto frequente quanto scorretta. Si pubblica troppo e per il critico il tempo non è mai sufficiente all'opportuno approfondimento. Ecco allora che si legge la quarta di copertina, si occhieggia l'indice, si sfoglia il capitolo ritenuto, magari a torto, più significativo...e si esprime la propria opinione. Personale, pertanto inconfutabile. Per questo libro di Silvia Calzolari e Daniele Veratti, edito da Sassoscritto e tutolato "Manuale Antirapina" sarò sincero e confesserò di non averlo mai aperto in vita mia e di non averlo ancora neppure comprato (ma giuro che lo farò!). Se ne parlo, non è per vantare i meriti degli autori (che, a quanto leggo su internet, sono tanti e di spessore) quanto per rendervi partecipi di una riflessione che mi è sorta prepotente. Di criminalità ormai parliamo in tanti: Ne parlano i criminologi (come i due giovani autori citati) ne parlano i sociologi della devianza (come il mio amico Ernesto Savona) ne parlano gli esperti di politiche di sicurezza (e qui, per me, l'elenco sarebbe troppo lungo) non ne parlano a sufficienza, a mio sommesso parere, i tecnici della sicurezza che sono le forze di polizia. Questo non è, infatti, il primo "Manuale Antirapina" che io ricordi: ne finanziammo un altro alcuni anni fa ed era rivolto ovviamente in primo luogo ai commercianti. Chi lo aveva redatto? Esperti di confesercenti e confcommercio (si trattava, credo, dei mitici Lino Busà e Andrea Colucci), Poliziotti e Carabinieri, che pur parteciparono all'iniziativa, non scrissero una riga (l'unico contributo fu l'elenco degli uffici a cui rivolgersi). Le forze di polizia fanno fatica a contestualizzare il problema "dalla parte della vittima", proiettate come sono al tema dell'assicurazione alla giustizia dei responsabili? E' possibile che ciò sia stato vero nel passato, ma da qualche anno non mancano riflessioni all'interno del sistema "polizie" ed ufficiali e funzionari in grado di esprimere punti di vista profondi ed originali. Tali contributi, non sopraponendosi ma affiancandosi ai lavori di sociologi, esperti di politiche e criminologi, renderebbe completo ed efficace l'approccio complessivo al tema che altrimenti rischia di permanere immancabilmente etereo ed accademico. Chissà che il prefetto Giulio Cazzella, entusiasta e competente direttore della Scuola Superiore di Perfezionamento del Ministero dell'Interno non ci faccia un pensierino.

giovedì, ottobre 22, 2009

Forse lo "scandalo" dei braccialetti inutilizzati non è poi così scandaloso.


"Bracialetti costosi, anzi costosissimi, più che se fossero fatti di oro diamanti e pietre preziose. Si tratta dei bracialetti elettronici nati come sistema alternativo alla detenzione (...) uno spreco da 110 milioni di euro per la realizzazione di un sistema che però non viene applicato dai magistrati. Il dott. Donato Capece, segretario generale del sindacato di Polizia penitenziaria, ha spiegato che di questi bracciali ne sono stati realizzati 400, ma che allo stato attuale solo 1 è impiegato a Milano e gli altri 399, chiusi in un caveau del Ministero dell'Interno.
Il braciale doveva servire a controllare i dentenuti agli arresti domiciliari limitando così il sovraffolamento delle carceri. Prima ancora della loro sperimentazione, durante il governo Amato, nel 2001, era stato siglato un accordo tra l'allora ministro dell'interno, Enzo Bianco, e l'ex Guardasigilli, Piero Fassino, con Telecom. Il contratto della durata di 10 anni prevedeva l'impiego dei bracialletti per 11 milioni di euro l'anno, che da allora i contribuenti versano alla Telecom, pur non venedo usati."

Sin qui la denuncia di Striscia la Notizia che ha fatto indignare molti videoascoltatori. Come dar loro torto? Sembrerebbe un caso lapalissiano di malgestione della cosa pubblica e uno spreco gravissimo da addebitare al Ministero dell'Interno. Ma probabilmente la questione è più complicata. Il Ministero dell?interno non ha alcun interesse a non utilizzare i braccialetti già acquistati e non sembrerebbe affatto vero che essi non funzionano, tanto che sono regolarmente utilizzati in Francia e in altri paesi nel mondo. Allora? Semplicemente il sistema del braccialetto, pur segnalando tempestivamente un eventuale allontanamento, non è, come ovvio, idoneo ad impedire l'evasione del detenuto. I magistrati non si fidano, sono preoccupati dei possibili esiti di una estensione del sistema dopo che, così si vocifera, un detenuto si sia dato alla fuga. Ma i braccialetti sono utili se adoperati nella consapevolezza dei loro limiti, su soggetti mirati. Basterebbe un po' di coraggio.

martedì, ottobre 20, 2009

Enrico Tedesco, direttore scuola regionale di polizia locale.


Enrico Tedesco è il nuovo direttore della Scuola Regionale di Polizia Locale di Benevento, l'unica scuola, a mia conoscenza, in Italia che curi l'alta formazione per le polizie municipali. Riferisco la notizia con particolare piacere perchè conosco Enrico da molti anni e sono ben consapevole della sua competenza ed esperienza in materia di sicurezza urbana e partecipata. Ma la mia soddisfazione nasce tuttavia anche da una segreta speranza (dettata dal nostro comune lavoro per utilizzare al meglio le risorse comunitarie e nazionali) la speranza che alcuni temi che timidamente cominciavamo a coltivare nell'ambito del Programma Operativo "Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno" possano finalmente trovare adeguata riflessione scientifica e un rilievo di maggiore respiro. Mi riferisco, a solo titolo esemplificativo, al concetto di Valutazione di impatto della Sicurezza e Legalità (VISL) teso a fornire ai decisori di politiche generali o locali di sicurezza elementi cognitivi certi e misurabili sulla necessità degli interventi e sulla loro tipologia o a quello, sbandierato solo astrattamente, della formazione integrata delle forze di polizia nazionale o locale che sia idonea alla determinazione di professionalità omogenee ma, ancor più, alla costituzione di una comune sensibilità nell'affrontare le varie forme di devianza. Spero, in buona sostanza, che la Scuola organizzi anche qualche corso sperimentale e che guardi con convinzione più al futuro da costruire che al presente da subire.

sabato, ottobre 17, 2009

Nuovo incarico per il prefetto Giuseppe Maddalena


Il Prefetto Giuseppe Maddalena è il nuovo Direttore Centrale per gli Istituti di Istruzione della Polizia di Stato. Un incarico di prestigio per un funzionario dello Stato che ha avuto una lunga esperienza anche nell'ambito delle politiche di sicurezza per lo sviluppo. Già direttore della Segreteria del Programma Operativo "Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno d'Italia" ha mantenuto successivamente stretti rapporti consulenziali, specialmente nel settore delle tecnologie per la sicurezza. Ricordo, al riguardo, un suo illuminante intervento, al Forum della Pubblica Aministrazione. Complimenti anche da questo blog per la nuova responsabilità e buon lavoro, signor prefetto!

venerdì, ottobre 16, 2009

E' gravissimo agire come se la polizia municipale fosse uguale ovunque.



Il Ministero dell'Interno ha annunciato la prossima emanazione della legge di riforma della polizia locale che dovrebbe introdurre molte novità da anni richieste con insistenza dai sindaci, sopratutto del centronord. La nuova normativa conterrà certamente disposizioni utili al miglioramento dell'efficienza degli enti locali e al loro coinvolgimento nel sistema generale di protezione del territorio da fenomeni di illegalità. Ma introdurrà - se le notizie di stampa sono veritiere - anche un elemento di distonia del cennato sistema, attribuendo alle polizie municipali una nuova potestà gravida di conseguenze forse incalcolabili.
Devo premette l'ovvia considerazione che le situazioni e i contesti sociali si presentano estremamente differenziati nel nostro Paese e ciò che può sembrare innocuo o persino utile ad Aosta o a Trento, diventa esiziale se consentito in province a forte presenza mafiosa Prevedere, come sembra fare la nuova disciplina, la possibilità da parte dei vigili urbani di accedere direttamente alle banche dati del Ministero dell'Interno, così come a quelle del Pra e delle varie Camere di Commercio, significa fornire una grande opportunità alla criminalità organizzata, in quegli ambienti a forte infiltrazione criminale che non sembrano in grado certamente di selezionare personale di polizia municipale in linea con responsabilità di questo tenore.
Di cosa parliamo infatti quando ci riferiamo alle banche dati del Ministero dell'Interno? Parliamo sopratutto dello SDI (Sistema di indagine) dove sono contenute innumerevoli informazioni "delicate" di centinaia di migliaia di cittadini, pregiudicati ma anche solo carichi pendenti, documenti smarriti ma anche tracce dell'identità coperta di collaboratori e testimoni di giustizia. Notizie di tale delicatezza che non sono neppure messe a disposizioni di tutti i poliziotti e carabinieri ma la cui disponibilità è riservata a livelli selezionati ed accreditati. Non voglio neppure pensare poi all'ipotesi che tra le "banche dati del Ministero dell'Interno" si voglia considerare altresì l'istituenda banca dati del DNA che conterrà la possibilità di conoscere ogni dettaglio biogenetico di innumerevoli cittadini. Vogliamo mettere in mano queste informazioni ai vigili urbani? a tutti i vigili urbani, in ogni zona d'Italia, anche quelli assunti da amministrazioni sciolte per infiltrazioni mafiose? Se questa è la volontà politica, lo si faccia. Ma è una responsabilità non piccola quella che ci assumiamo.

mercoledì, ottobre 14, 2009

Ma le ronde non sono il demonio.



L'istituzione delle cosiddette "ronde" non è stata vista di buon occhio dalle forze di polizia. I motivi di questa ostilità sono, a mio parere, almeno tre:
1. finanziario. Polizia e Carabinieri vivono un periodo di forti ristrettezze (come peraltro tutto il pubblico impiego) subendo ripercussioni sia sul piano dei mezzi a disposizione, sempre più vetusti, sia del personale, che scarseggia per assenza di turn over. Le ronde possono apparire come una sorta di mediatica scorciatoia per far ritenere, a costi contenutissimi, che si possa fare qualcosa per la sicurezza pubblica senza aumentare le risorse finanziarie di chi se ne occupa professionalmente.
2 operativo. Le "ronde" dovrebbero avere solo compiti di osservazione ed allertamento. Difficile però che nella pratica sia sempre così. La "tensione morale" ad intervenire, sopratutto di pronte a situazione che agli occhi del profano possano apparire erroneamente poco pericolose, è sicuramente forte. Polizia e Carabinieri temono di essere costretti a sprecare risorse nel proteggere questi "dilettantiu" dalle situazioni difficili in cui, per inesperienza o eccesso di zelo, potrebbero cacciarsi.
3 d'immagine. Le ronde - magari ingiustamente - evocano un concetto di sicurezza "fai da te" che appare incompatibile con un moderno stato democratico, La loro istituzione potrebbe inoltre essere intesa dall'opinione pubblica come una censura sull'operato delle ordinarie forze di polizia. Censura che, per il loro enorme impegno, polizia e carabinieri non credono di meritare.
Questa nuova figura di volontari per la sicurezza è stata ormai istituita e, giuste o meno le perplessità richiamate, l'interesse del Paese è certamente quello di darle comunque un utilizzo positivo, legittimo ed efficace. Io credo che questo obiettivo potrbbe essere raggiunto con poche ma essenziali innovazioni alla attuale, per certi versi frettolosa normativa. Le innovazioni, ritengo, potrebbero essere introdotto anche a livello regolamentare o persino di decreto ministeriale.
a. In primo luogo, in ogni ronda dovrebbe essere presente almeno un rappresentante delle forze di polizia a riposo. Un soggetto cioè che conosca perfettamente i limiti imposti all'intervento del privato cittadino, che impedusca agli altri di cacciarsi nei guai, che sappia riferire con professionalità ed esattezza gli elementi essenziali del fatto o delle persone che eventualmente segnala o denuncia, che rappresenti un soggettivo elemento di congiunzione anche simbolica tra questo neoistituto e la sicurezza pubblica statuale.
b. in secondo luogo, per svolgere la suddetta attività bisognerebbe aver frequentato un corso gratuito presso una scuola di una forza di polizia. Si potrebbe anche ipotizzare che tale corso possa costituire titolo per un eventuale pubblico concorso in polizia o presso i carabinieri.
c. l'istituzione di gruppi di privati che cooperano nel controllo del territorio dovrebbe essere concordata, caso per caso, con i singoli comuni nel quadro di specifici patti per la sicurezza che prevedano anche interventi, ad esempio infrastrutturali, a beneficio delle forze di polizia locali e nazionali, in modo da contestualizzare le ronde in una strategia complessiva di contrasto al crimine e non suscitare illusorie attese in un'opinione pubblica tanto sensibile al tema.

Le ronde non sono una soluzione. E non sono prive di rischi. Ma non utilizzarle, ora che esistono, sarebbe comunque uno spreco. E l'Italia di oggi non può permettersi sprechi.

martedì, ottobre 13, 2009

E' in arrivo la Banca Dati del DNA per combattere il crimine.

La nuova banca dati del DNA, la cui istituzione è prevista per i prossimi mesi, rappresenta un innovativo e formidabile strumento di indagine che consentirà, ad esempio, di identificare con certezza i cadaveri rinvenuti e risolvere casi di omicidio sinora rimasti insoluti. Anche in questa coccasione, more solito, è stato necessario un trattato internazionale (quello di Prum) successivamente esteso a tutti i ventisette paesi dell'Inione Europea, per imporre all'Italia l'adozione di un importantissimo strumento per contrastare la criminalità.
I possibili utilizzi della Banca Dati sono innumerevoli e aprono prospettive estremamente interessanti; tuttavia non dobbiamo dimenticare che siamo ormai decisamente penetrati all'interno della sfera privata delle persone e bisognerà pertanto procedere con tutta la dovuta cautela. Non ha sbagliato perciò il legislatore a prevedere che soggetto necessario dei regolamenti attuativi della legge istitutiva debba essere il garante per la protezione dei dati personali che dovrà vigilare sulla corretta acquisizione dei profili genetici e sulla loro riservata conservazione, onde evitare che la banca dati in argomento possa diventare fonte sgradita di informazioni non necessarie alla polizia giudiziaria ma utili per un possibili deviato controllo sociale.
Alt5ro effetto non secondario dell'innovazione sarà il profondo cambiamento nelle esigenze di tipologia di risorse umane da parte delle Forze di Polizia. Non siamo in grado di sapere come Polizia di Stato e Carabinieri (oltre ovviamente alla Polizia Penitenziaria per i soggetti già detenuti) si organizzeranno per rilevare i campioni genetici da persone e luoghi ma certamente saranno necessari non pochi tecnici biologi ed esperti sanitari. Una polizia, pertanto, sempre più "scientifica" e sempre meno somigliante all'investigatore "tutto inuizione ed esperienza" dei romanzi e dei telefilm.

lunedì, settembre 07, 2009

Gli effetti del turnover


Le forze di polizia lamentano ormai una vacanza organica di oltre 21mila unità, pari a circa il 7% del totale, particolarmente vistosa in proporzione nel settore delle qualifiche medioalte (funzionari, ufficiali, ispettori). La notizia non è nuova e neppure sconvolgente. Carenze di personale, seppur meno gravi, sono presenti in quasi tutti gli ambiti del pubblico impiego e denotano talvolta un eccesso di previsione organica (frutto del periodo di vacche grasse che si ebbe intorno agli anni 80). Un "dimagrimento" è qualche volta auspicabile e soluzioni operative a questo stato di cose (si veda il mio ultimo articolo su questo stesso blog) possono essere legittimamente ipotizzate. Il vero problema, per quanto concerne le forze di polizia, non risiede tanto nella riduzione del loro numerio quanto nel ridimenzionamento delle loro potenzialità operative a causa dell'elevarsi dell'età media. Oggi infatti l'età media degli operatori delle forze di polizia supera i 42 anni.
Quarantadue anni sono perfetti per esercitare funzioni burocratiche ma decisamente troppi per svolgere servizio per strada, in particolare nel settore dell'ordine pubblico. La fine della leva obbligatoria ha messo in ginocchio questi reparti e, se continua così, presto i problemi si faranno più gravi.
Se non si intende aumentare il numero degli effettivi, colmando i vuoti d'organico (le esigenze di bilancio sono peraltro notoriamente poco sensibili) sarebbe opportuno, quanto meno, dar corso ad una massiccia operazione di mobilità, consentendo agli appartenenti alle forze di polizia con più di quarantanni il transito presso altre amministrazioni (penso, ad esempio, alla Giustizia, per la quale, prima o poi, sarà indispensabile colmare i vuoti presenti nei ruoli ausiliari) e la conseguenziale assunzione di giovani ad integrazione dei transitati.

domenica, agosto 16, 2009

coordinamento o unificazione



Sull'ultimo numero de "l'Espresso", il segretario generale del più importante sindacato di polizia, Felice Romano del Siulp. ha lanciato un grido di allarme sulle condizioni finanziarie in cui versano le forze di polizia italiane. Se si fosse limitato alla denuncia, avrebbe posto in essere un comportamento doversoso per un sindacalista ma, nel complesso, poteva apparire un lamentoso ritualismo di bandiera. Invece Felice Romano ha detto qualcosa di ulteriore, ripetendo con chiarezza quello che negli ambienti degli addetti ai lavori si sussurra con titubanza già da molti mesi: cinque forze di polizia, di cui due a carattere generale (a cui tra breve si dovrebbero aggiungere le polizie minicipali) sono troppe perchè il nostro sistema finanziario possa sopportarle.
Si tratta di un discorso destinato inevitabilmente ad irritare molte orecchie, sia tra la polizia di stato sia nell'arma dei carabinieri. Dal 1981, infatti, si sostiene che sia in atto un "coordinamento delle forze di polizia" che dovrebbe evitare sovrapposizioni e diseconomia ma - nonostante la buona volontà di coloro che sono stati chiamati ad occuparsene - tale coordinamento non è mai decollato e ancora oggi appare una lontana chimera. A nessuno, in verità, piace "coordinarsi" oltre un certo limite (assai lasco) e la naturale concorrenza che esiste tra forze di polizia (in passato incoraggiata dalla politica, nel convincimento che tale concorrenza avrebbe garantito il reciproco controllo democratico) non spinge certamente in questo senso.
Eppure, che piaccia o meno, una forma di coordinamento più intenso e reale sarà nel prossimo futuro inevitabile, perchè l'alternativa che si prospetta all'orizzonte è ancor più temuta e paventata come esiziale: l'unificazione delle forze di polizia.
L'unificazione tra le forze di polizia (almeno Ps e carabinieri) causerebbe certamente molti problemi (e infatti già i massimi esponenti di Arma e Polizia, nonostante che nessuno l'abbia ancora mai proposta ufficialmente, hanno fatto trapelare diplomaticamente il loro dissenso) ma sarebbe certamente una soluzione alle enormi difficoltà finanziarie (che si trasformano inevitabilmente in difficoltà operative) che lamentano gli operatori italiani della sicurezza, sopratutto nel mezzogiorno, e che non sembrano potersi risolvere positivamente nel breve periodo. O l'una o l'altra strada: non esistono più alternative.

venerdì, luglio 31, 2009

Il Mezzogiorno e lo "scudo" della mafia

Traggo da http://www.lavoce.info/ questo importante contributo del prof. Centorrimo, di cui (non tutto mi convince) si potrebbe discutere direttamente su quel sito

LA MAFIA CON LO SCUDOdi Mario Centorrino 30.07.2009
Solo una parte trascurabile dei capitali rientrati in Italia con gli scudi fiscali dei primi anni Duemila si è diretta verso investimenti a rischio nell'economia reale. Del terzo scudo potrebbero ora approfittare le holding mafiose. Legalizzando a costi molto bassi somme che potrebbero alimentare circuiti di usura e di appropriazione di aziende in difficoltà. Nel Mezzogiorno avremmo così il paradosso di misure apparentemente di lotta alla criminalità organizzata, ma che invece finirebbero per facilitare l'aggressione a quel che resta di economia legale.
Le perduranti difficoltà di accesso al credito, denunzia il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, favoriscono fenomeni di usura e scalate alla proprietà di aziende, grazie alla disponibilità di liquidità acquisita illegalmente.Sono due fenomeni molto diffusi elevati nel Mezzogiorno dove, secondo recenti dati, sono a rischio usura 500 mila famiglie e 600 mila piccoli imprenditori. (1)
CAPITALI RIENTRATI E INVESTIMENTI
Come si collega a questa situazione l’imminente rientro di capitali illecitamente esportati all’estero, il cosiddetto scudo fiscale ter, inserito nel pacchetto anticrisi? L’entità dei capitali italiani riparati nei paradisi fiscali, dopo i primi due scudi fiscali (2001-2003) che riportarono in Italia circa ottanta miliardi, non è facilmente stimabile: si parla di circa 500 miliardi di euro attualmente nei conti off-store di società e trust di tutto il mondo. E ne dovrebbero rientrare tra i 60 e i 100 miliardi.Nella precedente esperienza si valuta che le somme rientrate in Italia non si sono dirette, o lo hanno fatto solo in parte trascurabile, verso investimenti a rischio nell’economia reale. Val la pena ricordare che i precedenti scudi fiscali tendevano a recuperare capitali fuggitivi per paura di una svalutazione dell’euro. Questo terzo scudo fiscale è dedicato a capitali che hanno cercato, con successo, soprattutto di sottrarsi all’imposizione fiscale.Quel che interessa il Mezzogiorno non è tanto la quota spettante del “tesoretto” sanato quanto il pericolo che lo scudo fiscale si risolva a favore del crimine organizzato e vada ad alimentare circuiti di usura e di appropriazione di aziende in difficoltà.Cosa sappiano della sorte effettiva toccata agli ottanta miliardi della passata manovra? Sono stati incamerati dal sistema bancario, sostiene il sostituto procuratore nazionale anti-mafia, Alberto Cisterna, senza che ne sia scaturito un numero significativo di operazioni sospette (meno di cento, in realtà). E senza alcun serio monitoraggio, continua Cisterna, sulle costituzioni delle provviste all’estero, sui loro titolari in Italia, sulle destinazioni degli impieghi ripuliti, con effetti negativi sul contrasto alla legalità. (2)
IL PERICOLO DELL'ANONIMATO
Proviamo a formulare una sintesi delle diverse posizioni sul punto. Il governo, a buon diritto, vanta il fatto che ora tutte le attività finanziarie detenute nei paradisi fiscali si presumono costituite, salvo la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione e che sono esclusi dai benefici dello scudo fiscale 2009 i proventi di ogni tipo di reato. Dunque, sempre secondo il governo, le sanzioni contro i patrimoni della mafia hanno raggiunto livelli di inedita severità.Guardiamo alla questione sotto un altro profilo, riportandoci alle argomentazioni di Cisterna. L’azione del governo contro i patrimoni illegali serve a poco, viene osservato, se contestualmente non se ne accompagna il rientro con misure investigative e di controllo. Resta trascurato il tema che riguarda la predisposizione di strumenti d’indagine per individuare le ricchezze illegali. E sul piano delle risorse investigative non s’intravede alcuna prospettiva di potenziamento così come l’imminente intervento sulle intercettazioni rischia di lasciare sguarnite le indagini sulla criminalità economica e sui reati dei “colletti bianchi” contigui alla mafia: bancarotta, falso in bilancio, riciclaggio. Qualcuno obietta che nell’ambito di una manovra di rientro dei capitali è assai difficile distinguerne la natura. Ma, viene ribattuto dagli esperti, Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza sarebbero in grado, se ci fosse la cosiddetta volontà politica, di progettare e realizzare un sistema di controlli tali da garantire la tracciabilità di capitali in rientro e stabilire gli effettivi titolari dei conti correnti.È improbabile che lo scudo fiscale 2009 faccia rientrare capitali nel Mezzogiorno utili per sostenere la sua economia. Èinvece possibile che holding mafiose, approfittando dell’anonimato che caratterizza il provvedimento, approfittino dell’opportunità di poter utilizzare patrimoni “parcheggiati” all’estero e ora, “sdoganati” a costi risibili, per creare circuiti finanziari paralleli, approfittando di un “credit crunch”, che nel Mezzogiorno, per paradosso, gli istituti bancari negano, ma in tanti soffrono. E sarebbe opportuno che l’Antimafia ufficiale, giustamente impegnata oggi su “papelli” e “agende rosse”, rivolgesse un occhio attento anche a misure apparentemente di lotta alla criminalità organizzata ma che invece, a ben vedere, ed anche questo è un paradosso, potrebbero facilitare l’aggressione a quel che resta nel Sud di economia legale.
(1)Giornale di Siciliadel 5 luglio 2009.(2)Il Sole 24Ore del 18 luglio 2009.

mercoledì, luglio 15, 2009

Intesa su Videosorveglianza: Maroni: "commercianti più sicuri"


(ASCA) - Roma, 14 lug - ''Un passaggio importante nel contrasto alla criminalita' diffusa che svolgiamo quotidianamente in modo piu' che soddisfacente''. E' il commento del ministro dell'Interno, Roberto Maroni, alla stipula, avvenuta stamane al Viminale, del protocollo di intesa relativa al progetto ''Securshop'', con Confcommercio e Confesercenti, per la videosorveglianza nei locali commerciali.Un sistema a rete che potra' contare, ha spiegato da parte sua il capo della Polizia Antonio Manganelli, anche sui contributi video prodotti dalle societa' di vigilanza privata al fine investigativo e probatorio.Di fatto, da oggi, grazie anche ai progressi in questo settore, gli esercizi commerciali potranno, quindi, dotarsi dei sistemi piu' avanzati di videosorveglianza, tutti collegati con le sale operative di polizia e carabinieri. Un sistema che il commerciante potra' attivare con la semplice pressione di un pulsante e che attivera' le immagini in diretta nelle diverse sale operative.''I negozi e gli esercizi commerciali che si doteranno di questi sistemi - ha spiegato Maroni - potranno considerarsi piu' sicuri e piu' protetti. Continuiamo sulla strada gia' intrapresa di contrasto al crimine diffuso che ha gia' portati a ottimi risultati''.
Il Ministro Maroni riprende una iniziativa che già aveva avuto un significativo successo e che meritava di essere ripetuta. Adesso occorrerà certamente procedere in modo "mirato", a tutela sopratutto di due categorie di esercenti: i tabaccai e i benzinai. Costoro infatti sono particolarmente esposti - in particolare a causa della presenza di contanti - agli assalti della piccola e media criminalità. Al punto da essere definiti "il bancomat del crimine".

lunedì, luglio 13, 2009

Leonardo Gallitelli, nuovo comandante dell'Arma


L'esperienza nei fondi strutturali porta evidentemente fortuna. Il Generale di Corpo d'Armata dei Carabinieri, Leonardo Gallitelli, è stato infatti nominato Comandante Generale dell?arma. Ovviamente i meriti annoverati da questo valentissimo ufficiale vanno molto oltre la sua breve esperienza nell'ambito del Pon Sicurezza, ma quel momento è stato importante per noi per conoscerne ed apprezzarne le grandi capacità.
Vadano pertanto al Generale Gallitelli gli auguri di questo blog. Difficilmente li leggerà, ne siamo coscienti. Ma ci faceva piacere farglieli lo stesso.