lunedì, novembre 17, 2014

Fiasco: "La grande crisi non sia un alibi".

Si può essere talora in disaccordo con Maurizio Fiasco ma confrontarsi con le sue idee è sempre un esercizio stimolante e mai inutile. L'ultimo suo articolo su il Sole24ore del 17 novembre "La grande crisi non sia un alibi" è un concentrato di ordinario buon senso e, come tale, merce assai rata. La crisi non è stata l'origine di un particolare incremento statistico degli atavici delitti che infestano le nostre strade o attentano alle nostre case, quanto piuttosto un incentivo al determinarsi di nuove forme delinquenziali o meglio all'aggiornamento operativo di talune fattispecie note. Sembra che "la nuova popolazione deviante risucchiata nell'illegalità dal procedere della recessione" abbia scoperto la redditività (e gli scarsi rischi) di delitti come le truffe via web o quelle ai danni degli anziani. La criminalità meno colta non è stata esente da rinnovamento di obiettivi ed operativi e si è rivolta, ad esempio, al furto di rame, metallo di cui i Paesi emergenti sono affamati e che, se si continuerà come da recenti abitudini, presto scomparirà del nostro Paese. La comune criminalità urbana non è invece esplosa nelle sue dimensioni quanto ingigantitasi nella natura e configurazione e si presenta oggi derivante da concause diverse, con caratteri di maggiore violenza e reattività specifica alla presenza di criticità sociali, urbanistiche, occupazionali, nonché al diverso atteggiarsi (o forse dissolversi) delle piccole comunità rappresentate un tempo dagli abitanti dello stesso quartiere. Una criminalità in veloce evoluzione che mette in difficoltà le attuali forme di contrasto poiché "non è stata compensata da una (altrettanto) più articolata strategia di contenimento sui territori urbani (...)ed è (infatti) anacronistico procedere "a catalogo", con meri dispositivi, senza enunciare un indirizzo strategico, senza scendere su opzioni chiare di servizio, di controllo organizzativo, di valori sociali che il sistema di sicurezza pubblica persegua in coerenza con un disegno governativo di fuoriuscita dalla crisi". E' quella che qualcuno si ostina ancora a definire "visione olistica" della gestione delle emergenze, secondo cui le criticità (economica, sociale, culturale, dei valori di legalità, ecc.) non sono patologie occasionalmente presenti sul medesimo organismo sociali ma sintomi diversi della medesima malattia che va combattuta perseguendo un'unica, complessiva strategia.
 

venerdì, novembre 14, 2014

Un PON Legalità così, un tempo, avrebbe avuto vita dura...

Mi rendo conto che farò la figura del "gufo", immagine ornitologica non particolarmente apprezzata ai nostri giorni, eppure, più leggo la bozza di quello che dovrebbe essere il nuovo Pon Legalità, meno mi convinco che esso possa essere approvato a Bruxelles. E' un programma senza ambizioni, senza strategia, senza originalità ne profondità nelle analisi e con un approccio tradizionale nel rapporto partenariale. Non mi pare peraltro vi sia una indicazione chiara ed esaustiva delle risorse ordinarie messe in campo e, sopratutto (se ancora il principio dell'addizionalità è valido) nulla che faccia comprendere in qual modo si vada a far sinergia con quelle comunitarie. Una domanda ingenua tra le tante possibili: se la gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata è prevista da una legge dello Stato italiano, per quale motivo dovrebbe essere finanziata dai fondi strutturali? Io appartengo ad una scuola probabilmente superata, ma un tempo una simile domanda sarebbe stata inevitabile e non leggo risposte adeguate nel testo in mio possesso. Banalizzando al massimo, una risposta possibile sarebbe stata questa: le risorse ordinarie a copertura ci sono e vengono utilizzate per fare queste cose (da descrivere); una volta realizzato le descritte cose, i fondi strutturali ci serviranno per farne queste altre (monitoraggio, messa in rete, internalizzazione dell'offerta al loro utilizzo, ecc.) che altrimentri non potremmo mai porre in essere. In buona sostanza, i fondi europei servono a potenziare una strategia condivisa con la Commissione, non a sostituire le risorse ordinarie utili a perseguire quella (non condivisa) dello Stato membro.
Ripeto: forse tutto ciò è superato, non serve più. Forse ormai sono troppo vecchio per capire, ma io continuo a ragionare come mi hanno insegnato Mario Garilli, Alberto Piazzi e Pere Puig Anglada, quando un programma doveva dimostrare di avere "idee guida" forti e strategie lungimiranti saldamente integrate, tali da essere in grado non solo di individuare i propri obiettivi ma di quantificarne le dimensioni, il cronogramma e i relativi impatti. Roba superata, forse. Da cittadino italiano me lo auguro, perchè se così non fosse questo Pon Legalità non avrebbe alcuna possibilità di superare il vaglio della Commissione o sarebbe sepolto da una tale valanga di osservazioni da dover, di fatto, essere riscritto. "In Italia", diceva Luca Celi," i soldi saranno pure pochi, ma le buone idee sono ancor meno". A distanza di anni, sono ancora una volta costretto a dargli ragione.

lunedì, novembre 10, 2014

Ancora sul PON “Legalità per lo Sviluppo del Mezzogiorno”. La scoperta del partenariato “in house”.

Come ho già avuto modo di constatare, la bozza di Pon Legalità per il prossimo periodo di fondi strutturali (2014-20) non è certamente priva di elementi di originalità, anche se non tutti riconducibili a quella pretesa “discontinuità” che si era posta a premessa. Sono stato, in particolare, colpito dal nuovo modo di configurare il rapporto col partenariato. Il documento dichiara, al riguardo, che “è stato avviato uno specifico percorso di confronto e consultazione col partenariato di settore che rappresenta uno dei princìpi chiave di riferimento della politica di coesione 2014-2020 come ricordato dall’art. 5 del reg. 1303/2013 e dal codice di condotta europeo approvato con decisione della Ce n. 9651 del 7 gennaio 2014”. Ottima decisione, tenuto conto di quanto il rapporto col partenariato sia stato “l’anello debole” delle pregresse programmazioni di sicurezza, spesso fagocitate dalla difficoltà di prestare il dovuto ascolto a voci non istituzionali o comunque non ritenute legittimate da antica consuetudine collaborativa. Il nuovo Pon, invece, intende addirittura – in totale controtendenza – garantire una “governance multilivello, attraverso il coinvolgimento proattivo degli attori del partenariato istituzionale e socioeconomico”. Il citato percorso di collaborazione, a quanto si legge, dovrebbe svilupparsi non solo nella progettazione ma anche nell’attuazione, sorveglianza, monitoraggio e valutazione del programma. Tutto questo appare rivoluzionario. Anche troppo per


non far sorgere il sospetto che non sia frutto di qualche piccola esagerazione prospettica. Per conferire sostanza a dette affermazioni, sarebbe stato necessario dimostrare di aver attivato (almeno a livello di contatto) le intelligenze migliori che il Paese (e il resto d'Europa) offre sul tema, incontrando associazioni, centri studi, università, forum e quant’altro. L’elenco degli enti sentiti (in una sola occasione!) va dall’ABI all’UPI è invece esattamente lo stesso di sei o di dodici anni fa. Si tratta, in sostanza, del vecchio, autorevole ma non incisivo, “Tavolo di Partenariato istituzionale e socioeconomico” che inventò il geniale Prefetto De Sena. Tuttavia, la mia potrebbe essere una critica sciocca. Poco male se gli interlocutori sono sempre gli stessi se, questa volta, il loro ruolo fosse ben diverso da quello del passato. E, difatti da quello che si è appena letto, sembrerebbe che nella prossima programmazione essi siano addirittura coinvolti in una “governance multilivello”. Bene, anzi ottimo. Se ciò è vero, chissà quanti dei 41 enti costituenti il tavolo di partenariato sono stati chiamati a portare il loro contributo al quadro degli interventi della futura programmazione. A leggere il documento (ma chi scrive non è pratico di questa tipologia di documenti)sembrerebbe neppure uno. Sono invece citati, nel paragrafo delle “lezione dal partenariato” l’”Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata” e il “Commissario nazionale antiracket e antiusura”. Enti preziosissimi che svolgono un’attività meritoria che va potenziata e sostenuta, ne sono convinto, ma che fanno già parte del “sistema istituzionale” deputato alla diffusione della legalità e al contrasto alla criminalità. Tanto è vero che mai hanno fatto parte del Tavolo di Partenariato, come è logico che sia. Citare il valido contributo di idee portato da questi enti come “attività propositiva del partenariato” significa sostanzialmente inventare l’istituto del “partenariato in house”. Originale elaborazione concettuale che spero tuttavia non trovi troppi imitatori.

martedì, novembre 04, 2014

Programma Operativo Nazionale "Legalità per lo sviluppo del Mezzogiorno". La Bozza.

La bozza del nuovo Programma Operativo Nazionale “Legalità per lo Sviluppo del Mezzogiorno”, relativo al prossimo periodo di fondi strutturali (2014 -2020), presenta, almeno in premessa, qualche motivo di ottimismo. Vi si legge, infatti, che la sua strategia sarà basata essenzialmente su tre “pilastri” (in verità, trovandoci in ambito comunitario, sarebbe stata forse preferibile una diversa terminologia) sostanzialmente caratterizzati: il primo da un’analisi attenta delle esigenze del territorio, il secondo da un ripensamento sugli errori commessi (eufemisticamente definite “lezioni apprese dal passato”) e il terzo dal confronto partenariale, istituzionale e socioeconomico. Intendimenti assolutamente condivisibili e probabilmente essenziali ad ogni programmazione di fondi europei, che denotano (mi permetto di dire: finalmente!) il desiderio di porre fine ad una conclamata autoreferenzialità che tanto danno ha determinato alle politiche di sicurezza per lo sviluppo. Se queste sono le reali premesse su cui si basa la prossima programmazione a titolarità Viminale, si può sperare che, sia pur con qualche ritardo, si possano ottenere risultati tangibili e concreti. Tuttavia, quando andiamo a proseguire nella lettura del documento, sorge il dubbio che alcuni errori di impostazione non siano stati del tutto eliminati e che aspetti essenziali per rendere credibile la preannunciata svolta non siano stati adeguatamente individuati e sottolineati. Trovo singolare, ad esempio, l’affermazione secondo cui la criminalità italiana sia ormai un fenomeno da inquadrare in una prospettiva europea giacché questi sodalizi criminosi “costituirebbero ormai una minaccia per l’intera Unione Europea”. Siffatta affermazione è attribuita ad Europol ed è perfettamente logica per un organismo investigativo europeo che analizza prevalentemente gli sviluppi comunitari delle organizzazioni criminali nazionali per indicare forme di contrasto alla loro internazionalizzazione, mentre si comprende assai meno in un documento programmatico che afferma di voler “partire dai territori” e che pertanto si propone di aggredire le cause della pervasività criminale dell’economia locale e non i suoi possibili sviluppi oltre confine. Temo che, in tal caso, l’origine comunitaria dei fondi abbia ingenerato un equivoco e fatto ritenere all’estensore della bozza di Pon o ai suoi suggeritori che la prospettiva di un “rischio criminalità italiana” negli altri Paesi UE avrebbe svolto una funzione incentivante per la Commissione. Mi sembra un errore, anche piuttosto ingenuo. Per quanto attiene il “secondo pilastro”, assai correttamente uno dei principali errori da non ripetere è stato individuato nello stile di governance, auspicando una maggiore partecipazione. E’ stato pertanto ipotizzato un tavolo permanente di coprogettazione e valutazione congiunta degli interventi, a cui “sarà chiamato a dare il suo contributo il partenariato economico e sociale”. Giustissimo. Peccato che tali tavoli siano sempre esistiti e che non abbiano mai sinora fornito i risultati sperati ed una delle cause di questo mancato successo sia da ricercarsi nel ruolo istituzionalmente svolto in sede locale dalle Prefetture, istituzioni meritorie ma spesso impreparate al confronto con Regioni e grandi comuni nell’ambito della gestione dei fondi comunitari. Per rimuovere le criticità del passato, la nuova programmazione prevede invece un rafforzamento della “funzione propulsiva” proprio delle Prefetture. Non mi sembra logico. Tuttavia è possibile che io abbia torto e che sia stata progettata un’intensa attività formativa per funzionari di prefettura che li ponga in condizione di svolgere non più un ruolo notarile di spartizione di risorse quanto un’autentica azione di mediazione concettuale e progettuale. E’ necessario che si comprenda una volta per tutte che un buon progetto non è quello che consente di investire risorse che altrimenti rischierebbero il definanziamento ma quello che costituisce un prezioso tassello del mosaio “strategico” che si vuole comporre. Per far ciò bisogna essere perfettamente consapevoli sia della strategia dell’Autorità di Gestione approvata dalla Commissione Europea sia degli strumenti finanziari e delle procedure necessari alla sua realizzazione. Per quanto concerne il “terzo pilastro” mi sembra evidente che la dichiarata “apertura al partenariato socio-istituzionale” riguardi sempre ed esclusivamente una pattuglietta di “soliti noti”. Forse, oltre alla gestione dei beni confiscati e alla trasparenza negli appalti, vi sono anche altre idee dietro l’angolo. Non avrebbero fatto male a dare un’occhiata.