giovedì, ottobre 13, 2011

Abbiamo bisogno di concreti sognatori

Le politiche di sicurezza per lo sviluppo si sono sinora caratterizzate per tre diversi possibili approcci, in taluni casi sostenuti in modo non disgiunto.Nella maggioranza dei casi, la problematica è stata analizzata nell'ottica delle forze di polizia o, nel migliore dei ipotesi da quella delle altre agenzie di controllo sociale. In buona sostanza, si è cercato di rispondere alla domanda: come possiamo rendere più efficiente ed efficace l'azione di contrasto alla criminalità, in modo da consentire alla società civile di attivare tutti quei meccanismi virtuosi che determinano lo sviluppo economico e sociale? Tale lettura (che ovviamente non è sbagliata) è tuttavia tipica delle politiche ordinarie. Uno Stato civile e ben organizzato dovrebbe aver fornito una qualche risposta al quesito e semmai può porsi il problema di perfezionare e migliorare i provvedimenti e le azioni intraprese. Tuttavia la crisi economica - e i tagli alla pubblica amministrazione, anche quella che si occupa di sicurezza pubblica - hanno certamente messo in crisi questo approccio, determinando, ad esempio, il travisamento di buona parte di ciò che era previsto nel PON Sicurezza.Una seconda modalità per affrontare il problema è quella di porsi nell'ottica della vittima. Si considera il crimina un fenomeno riducibile ma non eliminabile e di tende alla riduzione del danno. Il quesito diviene pertanto il seguente: come posso, nonostante la presenza di una forte e radicata criminalità organizzata, porre le condizioni affinchè sia possibile una ordinata vita civile ed economica e vengano sciolti nodi quali la disoccupazione e la scarsa crescita? E' un approcio realista, che ha il torto di non piacere alla società civile per il suo fondo pessimistico e alle forze di polizia e altre agenzie di contriollo sociale perchè ne ridimensiona il ruolo, andando a spostare l'asse degli investimenti sui soggetti intermedi.Il terzo approccio tende ad enfatizzare l'ottica dell'opinione pubblica, magari limitata a determinati contesti territoriali. E' la filosofia della "percezione di insicurezza" che tende a risolvere il problema mediante la messa in campo di un ampio ventaglio di provvedimenti aventi natura rassicurante. Il quesito che pone questa terza modalità di approccio potrebbe essere: come faccio a creare le condizioni affinchè le popolazioni attualmente minacciate dall crimine organizzato non ne abbiano più timore e mettano pertanto in atto tutti quei comportamenti di resistenza attiva e passiva alla illegatità.?
Non è sbagliato. Nessuno di essi è ontologicamente erroneo. Tuttavia non hanno funzionato. E, se non funzionano, bisogna avere il coraggio intelletuale e l'ambizione un pochino sconsiderata di tentare strade nuove: un nuovo approccio di politica di sicurezza che sia basata sulla crescita civile, democratica e culturale di ogni singola persona. Una grande opera di formazione alla cittadinanza di massa.Un'idea per concreti sognatori. Di questo, forse, abbiamo oggi bisogno