lunedì, maggio 03, 2010

Forse è necessario un ripensamento sull'utilizzo della videosorveglianza....

Qualcuno borbotterà, a ragione, che ho una bella faccia tosta e che dal mio pulpito una simile predica non può proprio venire. Ma Indro Montanelli diceva che solo gli imbecilli non cambiano mai opinione e io imbecille del tutto non devo essere visto che, sull'argomento, l'ho decisamente cambiata. In materia di videosorveglianza abbiamo esagerato e siamo andati di molto oltre gli intendimenti originari. Quando il grande prefetto Luigi De Sena mi parlava di opzione tecnologica per limitare la militarizzazione del territorio e ridurre le ingenti spese di personale, io quasi inevitabilmente, nel redigere faticosamente i paragrafi del Pon Sicurezza, traducevo in pratica quell'indicazione con pregetti di videoseorveglianza. Anche quando De Sena si occupò di altrecose e i miei interlocutori divennero i Prefetti Procaccini ed Amoroso, la comune passione per i sistemi di videosorveglianza non accennò a diminuire.
Ma dobbiamo essere chiari. Non avevamo alcun intendimento di sostituire il controllo del territorio ad opera delle forze di polizia con un mero reticolato di telecamere ed eravamo tutti pienamente consapevoli dei limiti dello strumento. La telecamera era incaricata di incrementare le potenzialità di intervento delle forze di polizia e giammai di sostituirsi ad esse. Peraltro, la ricerca scientifica nel settore prometteva meraviglie: telecamere "intelligenti" in grado di attivarsi esclusivamente in presenza di eventi significativi, telecamere capaci di riconoscere volti selezionati in una folla, telecamere capaci di individuare in tempo reale targhe segnalate tra la moltitudine di auto transitanti per un'autostrada.In verità, non tutte queste funzionalità erano perfette e alcune di esse non hanno corrisposto i risultati sperati. Ma non è stato questo il punto.
Tutti noi eravamo consapevoli che la videosorveglianza sarebbe stata utile solo se accompagnata da un forte potenziamente delle Sale Operative, un'adeguata formazione di personale che imparasse ad utilizzare lo strumento secondo le sue potenzialità e attitudini e, ultimo ma non ultimo, una serie di interventi mirati sul medesimo territorrio di carattere sociale che operassero sinergicamente ad incrementare la sicurezza, nonostante una ipotizzata minore presenza di "divise" nell'area interessata. Per quest'ultimo motivo, accanto ad un asse "tecnologico", si è sempre posto uno speculare asse di interventi di supporto sociale che abbiamo scelto e condiviso con il partenariato socioistituzionale.
Le successive strategie hanno poi seguito percorsi diversi e non costruiti sull'elemento "deterrenza da videosorveglianza". Questa è stata, in definitiva, vista più come un'opportunità ulteriore fornita alle attività di indagine (quindi, a seguito di un reato) che come la regina delle attività di prevenzione, che, come tutte le regine, necessitava di una corte di interventi di integrazione e coronamento.

domenica, aprile 04, 2010

Migliaia di stazioni e commissariati sparsi per il Paese, eppure il poliziotto sotto casa (ammesso che ci sia) non serve...


Ignoro quanti siano esattamente i commissariati di polizia e le stazioni dei Carabinieri in Italia. Non dubito tuttavia che siano numerosissimi. Il motivo è semplice: non vi è comune nel nostro lungo e diversificato Paese che non si senta offeso dall'assenza sul territorio di un presidio delle forze dell'ordine e non vi è sindaco che non prometta al proprio elettorato una richiesta al Ministero dell'Interno d'istituzione di qualche caserma "per aumentare il livello di sicurezza" o, se già esistente, la sua elevazione a tenenza o compagnia.
Il risultato di questa politica dissennata è la presenza di una ingiustificata miriade di piccoli uffici - solitamente stazioni dell'Arma - presidiati da pochi militari, appena sufficienti a garantire un minimo di presenza e, nelle ore notturne, spesso neppure quella.
Non è assurdo che centri abitati distanti pochi chilometri l'uno dall'altro abbiano due presidi, ognuno incapace per scarsezza di mezzi e personale di effettuare un significativo controllo del territorio? Non sarebbe preferibile unirli, per economizzare i servizi comuni e risparmiare i costi di locazione e con le risorse risparmiate mettere più personale a presidiare le strade e offrire una presenza per tutto l'arco della giornata?
Sono osservazioni banali, che sono certo già da anni oggetto di meditazione presso i vertici delle forze di polizia; tuttavia si tratta di soluzioni inattuabili sino a quando la sicurezza sarà interpretata più come una tematica da spendere sul piano politico-mediatico che come un'esigenza della collettività meritevole di una razionale ed esaustica risposta. Al cittadino non serve affatto avere una stazione deo carabinieri a cento metri da casa se poi, in caso di bisogno, non vi trova nessuno. Molto meglio averla a cinque chilometri, purchè, se chiamata telefonicamente, abbia gli uomini e i mezzi per intervenire rapidamente. I sindaci ci pensino, se veramente hanno a cuore le sorti dei loro concittadini....

mercoledì, marzo 17, 2010

La filosofia della paura. A margine di un libro di successo.


Per l'autore di un blog come quello che avete la bontà di leggere, finalizzato esplicitamente a trattare i temi della sicurezza (anche se cercando sempre, qualora possibile, di coglierla sotto il profilo di presupposto per lo sviluppo economico e sociale) la lettura del testo del filosofo norvegese Lars Svendsen, riproposto in Italia dalla Castelvecchio editore, è doppiamente proficuo. La ricerca della sicurezza altro non è, infatti, che la risposta razionale ad uno dei sentimenti più antichi che accompagnano la storia dell'umanità: la paura. Chiedersi cosa sia la paura e quale sia la cultura che la sua diffusione inevitabilmente genera e diffonde è, pertanto, assolutamente necessario e consente a tutti noi, sedicenti cultori della materia delle politiche di sicurezza, di godere di un salutare bagno di umiltà.
La paura è un sentimento assolutamente normale, direi fisiologico, che ci fa compagnia dalla notte dei tempi, eppure ogni generazione (e quella presente non fa certo eccezione) sembra riscoprirla ogni volta con sgomento. I motivi per aver paura (contrariamente a quanto si pensi comunemente) non sono affatto aumentati, al contrario: la nostra società occidentale è probabilmente una delle più sicure che la storia ricordi.
La componente che sembra incrementarsi costantemente è invece la "cultura della paura" e, di conseguenza, la politica della paura. Questo sentimento è, infatti, un potente mezzo di controllo sociale ed un fortissimo argomento a sostegno delle decisioni meno giustificabili. "La paura" scrive il filosofo norvegese "è uno dei fattori di potere più importanti che esistano e chi può governarla in una società terrà quella società in pugno"
Un richiamo ad una visione serena e razionale dei potenziali pericoli che ci minacciano, mi pare opera meritoria. Una società è veramente sicura quando è anche serena e in grado di difendersi dai rischi incombenti senza isterismi e senza cedere alle demagogie. Tutto ciò mi pare saggio. Ma attenzione, guai a pensare che un livello misurato e controllato di timore sia inutile. Lo spirito di autoconservazione è necessario per la tutela sia del singolo sia di una collettività, poichè "temere" significa anche considerare il futuro e programmare le risposte che si pensa saranno necessarie a fronteggiare le emergenze. Pur consapevoli che - per fortuna - molte di queste emergenze non avranno mai luogo e molte delle minacce che dovremo effettivaqmente affrontare assai meno spaventose nella realtà di quanto non lo siano state nelle nostre tormentate preoccupazioni.

sabato, marzo 06, 2010

La nostalgia del bigliettaio


Mia madre e mio padre erano persone di altri tempi e non sapevano cosa fosse la "percezione di insicurezza". Non solo non conoscevano la forma verbale ma - almeno nel senso che attribuiamo al termine oggi - ne ignoravano proprio il concetto. Quando mia madre mi riportava a casa dal cinema (mio padre era un dirigente molto spesso fuori città per lavoro) lo faceva utilizzando l'autobus e, indicandomi il bigliettaio che se ne stava seduto al suo posto in fondo, mi diceva soddisfatta "se qualcuno ci dovesse dar fastidio, noi chiamiamo il bigliettaio e lui metterebbe le cose a posto!". Il bigliettaio non era un poliziotto - questo lo capiva bene anche un bambino come me - ma aveva il berretto e rappresentava, almeno ai miei occhi e forse anche a quelli di mia madre, lo Stato, l'ordine, la sicurezza e la difesa dei deboli contro ogni forma di malintenzionati.
Poveri vecchi bigliettai, non ci sono più, resi costosi ed obsoleti dalle macchine obliteratrici e, se mia madre fosse ancora viva e viaggiasse in autobus, non potrebbe più, per rassicurarsi, lanciare uno sguardo verso il fondo dell'automezzo per trovare conforto dalla visione di quel berretto. Così come non ci sono più i portieri a presidiare gli androni dei nostri palazzi ed evitare che malintenzionati possano penetrarvi. Nessun videocitofono potrà mai eguagliare il filtro discreto ma ferreo dei vecchi portieri di una volta.
Dicono che ci sentiamo tutti più insicuri. Quale scoperta! Abbiamo progettato e creato un mondo che sembra finalizzato a produrre insicurezza, eliminato le figure rassicuranti, isolato gli anziani in quartieri ove non esiste socializzazione alcuna e ci aspettavamo un risultato diverso? E' inutile invocare sempre maggiore polizia. Poliziotti e carabinieri sono utili e fanno un lavoro insistituibile ma la "sicurezza" è data dalla contestuale presenza di una rete di informale rassicurazione sociale, cotituita da una moltitudine di figure di riferimento, che, se scompare, non potrà mai essere adeguatamente sostituita da un controllo del territorio meramente di polizia.

mercoledì, marzo 03, 2010

Ancora con la vecchia ed inutile politica dell'aumento delle pene edittali


Il governo ha appena licenziato una serie di provvedimenti contro la corruzione e tra essi, more solito, è presente la previsione di un aumento delle pene edittali, da un terzo alla metà. Ovviamente condivido le finalità del disegno di legge ma sono fortemente perplesso sul fatto che questo tipo di decisioni apportino reali benefici al sistema giuridico nel suo complesso.
Aumentare la pena edittale prevista per un reato non è un concreto deterrente contro la sua possibile commissione. Un soggetto che ha deciso - in vista dei futuri e quasi certi guadagni che la condotta illegale gli permetterà di assicurarsi - di commettere un reato, non ne sarà certamente dissuaso dalla minaccia di un aggravamento pena. Sino a quando la possibilità di essere chiamato a risponderne sarà oggettivamente scarsa o nulla, egli continuerà a delinquere; non appena, invece, le probabilità di subire una condanna (più o memo grave non è determinante) diventerà consistente, è quasi certo che la sua propensione al reato scemerà fortemente.
Non è pertanto sulle pene che bisognava agire (quelle previste erano più che sufficienti) bensì sulle procedure. Era necessario aumentare i controlli, renderli più efficaci ed invasivi, destinare più uomini e mezzi della Guardia di Finanza ad indagini mirate, immaginare banche dati ed altri strumenti di indagine da offrire all'Autorità Giudiziaria, rispolverare la vecchia idea della stazione unica appaltante. Certamente si sarebbe trattato di una strada più complessa e di minore "impatto mediatico" ma sarebbe stata probabilmente l'unica strada che avrebbe portato a qualche risultato concreto.

venerdì, febbraio 26, 2010

Un commissario scomodo. La storia di Ennio Di Francesco.


L'editore Sandro Teti ha recentemente ripubblicato, con notevoli ampliamenti, il libro di Ennio Di francesco "Un Commissario", rititolato "Un commissario scomodo". Si tratta del racconto autobiografico di un funzionario di polizia controverso e tormentato ma sempre animato da profonda coerenza ed onestà intellettuale. Passato agli onori delle cronache quando fu protagonista dell'arresto di Marco Pannella che si era macchiato (e sostanzialmente autodenunciato) del crimine di spaccio di droghe leggere, Di Francesco non ebbe scrupolo - pur consapevole delle critiche che gli sarebbero piovute addosso - di manifestare pubblica solidarietà al leader radicale. E' stato questo uno dei numerosi episodi di difficoltà per l'Autore a far conciliare i suoi principi e i propri persnali profondi convincimenti morali e politici con la necessità di assecondare la dinamica delle politiche di sicurezza vigenti al tempo. Un libro difficile, di sofferta lettura ma di grande interesse storico ed umano. Un acquisto consigliabile.

giovedì, febbraio 25, 2010

Rapporto cnel sulla criminalità dell'Italia del nord


Il traffico di droga, l'usura e il pizzo, ma anche l'edilizia, i grandi appalti e la finanza. I tentacoli della piovra mafiosa sono ormai saldamente stretti attorno alle ricche città del Nord. E' il quadro tratteggiato dal rapporto del Cnel su "L'infiltrazione della criminalità organizzata nell'economia di alcune regioni del Nord Italia".

Il rapporto ricostruisce storicamente la 'conquista' delle regioni settentrionali da parte delle cosche meridionali negli ultimi cinquanta anni. Tre, essenzialmente, le strade che hanno portato al Nord i mafiosi: l'invio in soggiorno obbligato dei boss, prima siciliani e poi camorristi e 'ndranghetisti; l'emigrazione nel triangolo industriale di Torino, Milano e Genova; la scelta strategica, soprattutto fatta dalla 'ndrangheta, di insediarsi stabilmente al Nord.

A distanza di decenni, lo scenario che emerge vede i mafiosi pienamente inseriti in settori dell'economia, proprietari di immobili, di attività imprenditoriali e commerciali, impegnati nel riciclaggio ed in cerca di relazioni con il mondo politico. La 'ndrangheta e' l'organizzazione criminale numero 1 ora al Nord: in Lombardia si sono spostate tutte le 'ndrine che contano ed ognuna ha trovato il proprio spazio. Indagini nell'hinterland di Milano mettono in luce la loro presenza sia nei lavori dell'alta velocità ferroviaria e in quelli dell'ampliamento dell'autostrada A4, sia il rapporto nuovo tra imprenditoria 'ndranghetista e imprenditoria lombarda. Si e' così verificata l'espulsione di imprenditori sani e la contestuale sostituzione con soggetti privi di scrupoli.

Il Cnel parla di "conquista silenziosa di pezzi dell'economia legale", con la sostituzione di vecchi proprietari (imprenditori e commercianti) attraverso il prestito usuraio che, insieme all'edilizia, è diventato il "cavallo di Troia" per conquistare le cittadelle economiche del Nord. E una misura degli interessi mafiosi in Settentrione la danno anche i numeri delle confische eseguite dalla magistratura: al 30 giugno 2009 beni per 142 milioni di euro (108 milioni nella sola Lombardia) e aziende per 1,7 milioni di euro. Cifre, commenta il Cnel, "impressionanti, che da sole ci indicano la grande capacità espansiva e il radicamento nelle regioni del Nord" delle organizzazioni criminali meridionali. (fonte ansa).

mercoledì, febbraio 24, 2010

La maggioranza deviante ovvero il problema della cultura della legalità nell'Italia contemporanea.


Se accettiamo la complessa definizione di devianza che ci offre il dizionario di sociologia di Luciano Gallino “atto, comportamento o espressione, anche verbale, del membro riconosciuto di una collettività che la maggioranza dei membri della collettività stessa giudicano come uno scostamento o una violazione più o meno grave , sul piano pratico o su quello ideologico, di determinate norme o aspettative o credenze che essi giudicano legittime o a cui di fatto aderiscono ed al quale tendono a reagire con intensità proporzionale al loro senso di offesa” allora il concetto di “maggioranza deviante” non avrebbe motivo di sussistere e gran parte del dibattito politico di questi anni acquisterebbe una valenza surreale.
Se la devianza riassumesse veramente in sé la componente statistica ( “..che la maggioranza dei membri giudicano…” ) essa non potrebbe che essere ricondotta tra i comportamenti marginali o, seppur non episodici, certamente accidentali e non strutturali.
Il quesito che oggi ci poniamo e che ha necessitato di questa tediosa introduzione è pertanto il seguente “è la corruzione in Italia un comportamento deviante?” E ancora, ragionando con lo stesso metro, possiamo altresì definire devianza l’evasione fiscale?
Corruzione ed evasione, infatti, rappresentano non solo comportamenti estremamente diffusi ma soprattutto paiono (o si sostiene che appaiano) alla maggioranza dei consociati come violazioni estremamente veniali. Non che non esista disapprovazione pubblica (che anzi si presenta sovente esageratamente marcata) ma essa è accompagnata spesso da accondiscendenza e tolleranza quando l’argomento viene affrontato in ambiti privati.
“Per un imprenditore all’inizio della sua attività – mi diceva un industriale affermato – è assolutamente impossibile pagare le tasse; e se, per moralismo o pavidità eccessiva, questi intendesse farlo, condannerebbe se stesso e la sua nascente azienda all’immediato fallimento…” e un dirigente pubblico di lungo corso “ per evitare fenomeni di corruzione nella pubblica amministrazione l’unico modo sarebbe l’assegnazione dei contratti per sorteggio e forse non basterebbe perché anche un sorteggio potrebbe essere manipolato; bisogna rassegnarsi al fatto che l’essere umano è corrotto e che, entro certi limiti, la corruzione è fisiologica e nessuna società è riuscita a debellarla…”
Sono corrette queste affermazioni? Possiamo pensare che non lo siano. Tuttavia, non è questo il punto. Esse sono molto diffuse e, se sostenute in un salotto, non vengono accolte con reazioni negative ma anzi spesso li si accredita di sano e saggio realismo. Ciò dimostra - se ancora fosse necessario dimostrarlo - che comportamenti teoricamente “devianti” possono invece far parte della cultura di una parte consistente (non so dire se maggioritaria) di un popolo e il livello di offesa ai c.d “valori di condivisi” viene ricondotto nell’ambito teorico di un “mondo ideale” che tuttavia non esiste e che (nell’opinione o forse nella speranza di alcuni) probabilmente non esisterà mai

lunedì, febbraio 22, 2010

Il piano pro-legalità presentato a Milano al ministro Maroni. Il computer detective "Risicol".


(Fonte: L'Avvenire del 21.2.2010.)Sapevate che negli ultimi 12 mesi il 6,6% delle imprese ha subito il 92,7% del totale dei furti? E che corruzione e infiltrazioni criminali sono difficili da stanare perché, solo nel 2008, sono stati avviati 47.937 appalti da oltre 150mila euro, per un totale di 76 miliardi (l'equivalente di quattro robuste Finanziare)? Vi hanno mai detto che, rispettò ai colleghi sulle volanti, a parità di ore lavorate i poliziotti in bicicletta mettono a segno il triplo degli arresti? Quello che l'Università Cattolica di Milano presenterà domani al ministro dell'Interno Roberto Maroni è un piano per migliorare, in poche mosse, legalità nella pubblica amministrazione ed efficacia delle forze dell'ordine. La chiave sta «nell'approccio integrato di più discipline: criminologia, diritto, economia, finanza, statistica, sociologia, informatica». Lo annuncia Emesto Savona, direttore di Transcrime, il Centro interuniversitario di ricerca sulla Criminalità transnazionale dell'Università Cattolica e dell'Università di Trento. Tangenti e mafia. Il nome ricorda quello di un famoso gioco di strategia bellica. "Risico 1 " è un programma informatico sviluppato da Transcrime in colfaborazione con il ministero dell'Interno, n sistema effettua unavalutazione del pericolo di infiltrazioni negli appalti attraverso un modello statistico che utilizza decine di informazioni. Per esempio valuta il rischio in relazione alle caratteristiche del contratto, dell'impresa vincitrice e di ciascun appaltatore. Esamina le caratteristiche delle persone che hanno una posizione di rilievo: soci, amministratori, rappresentanti legali, dirigenti. Combinando questi dati con il contesto territoriale (come in presenza di un Comune sciolto per mafia), il tipo di procedure burocratiche, la presenza di ' stazioni subappaltanti", gli importi delle gare e i prezzi di aggiudicazione, il cervellone attribuisce un punteggio. Quando è alto, meglio indagare. Gli "hot spot". Transcrime lavora tra gli altri per le Nazioni Unite e l'Unione Europea, per conto di cui ha elaborato il concetto di "Hot Spot", cioè «pochi luoghi che concentrano molta criminalità e producono molta insicurezza». Uno dei risultati più importanti della ricerca recente è avere dimostrato che poche zone producono la grande maggioranza dei reati. «Ciò significa che un'attività di prevenzione efficace dovrebbe seguire "i luoghi" in- tervenendo su questi per ridurre le opportunità criminali». Invece si seguono in prevalenza le persone, «cioè gli autori di reato, se ne individuano alcuni e, parte di questi, vengono condannati». Al contrario occorre andare lì dove si formano le opportunità criminali, «anticipare il reato evitando che questo venga commesso». Via Padova e i «ghetti» .Uno dei perimetri più studiati è quello del quartiere milanese di Via Padova, dove una settimana fa si è consumato un omicidio che ha provocato una rivolta etnica. È un classico caso di "hot spot". «In queste aree - osserva Savona - la situazione degenera perche alcuni fattori di wchio, determinati da variabili diverse (conflitti ihfraetnici, integrazione mancata con gli abitanti locali, etc.), si miscelano ad una concentrazione di opportunità date dalla concentrazione di luoghi di ritrovo. Il tutto in assenza di fattori protettivi». Già dai dati censuari del 2001 emergeva come l'area fosse interessata da «alta percentuale di popolazione straniera (con numerose etnie); bassa percentuale di nuclei familiari; alta concentrazione di attività commerciali omogenee; alta percentuale di appartamenti in affitto». Per Transcrime occorrerebbe «sviluppare alcuni fattori protettivi, come ad esempio, riorganizzare i presìdi delle Forze di Polizia, pianificare a fini di sicurezza interventi di tipo amministrativo, decentrare le licenze dei bar, dei luoghi di ristoro, dei cali center e sviluppare eìementi di coesione sociale come luoghi di aggregazione». Furti m casa. La polizia di Huddersfield, nel Nord dell'Inghilterra, aveva un problema. Nel ricco distretto tessile, non a caso definito la "Svizzera inglese", c'era stata un allarmante impennata dei furti in appartamento. È lì che è stato applicato il concetto di "hot spot", un po' come potrebbe accadere per la Brianza o i distretti avanzati del Trevigiano. Il piano prevedeva una redistribuzione delle forze di polizia sul territorio. «Per stabilire un criterio chiarisce Emesto Savona - tutte le abitazioni sono state classificate in tré categorie (oro, argento e bronzo) a seconda del livello di vittimizzazione registrato in precedenza». Nei luoghi identificati come più problematici sono state concentrate maggiori risorse di polizia. Risultato: riduzione del 30% dei furti in appartamento; aumento degli arresti dal 4% al 14%; nessuna evidenza di aumento del reato nelle aree limitrofe. Di Nello Scavo per l'Avvenire.

La "vittima", soggetto centrale di nuove politiche di sicurezza.


Solo di recente le politiche di sicurezza hanno riscoperto il tema cruciale della “vittima”, per molti decenni assolutamente trascurato. L’interesse degli studiosi era stato infatti calamitato dalla figura del criminale, nemico da contrastare ed eliminare o, talvolta, persino da comprendere e giustificare, figura comunque a cui attribuire nel reato il ruolo eterno del protagonista.
La vittima soggiaceva nello sfondo, quale soggetto passivo, entità occasionale su cui vi era poco da studiare, poco da comprendere, poco da modificare.
Facevano eccezione alla regola solo le vittime di fatti di sangue particolarmente efferati o di crimini quali la violenza sessuale, per i quali – talvolta a beneficio di possibili eventuali attenuanti da riconoscere all’autore del reato – la figura del soggetto passivo veniva sezionata e discussa.
Questo processo di marginalizzazione del ruolo della vittima ha trovato recentemente in Italia un momento di controtendenza, in coincidenza con una serie di studi sulla criminalità predatoria che hanno conferito grande impulso alle c.d. indagini di vittimizzazione. Impossibile non ricordare, al riguardo, l’indagine condotta nel nostro Paese dal sociologo Marzio Barbagli per conto dell’ISTAT nel 1998, che ha dato adito ad una serie di analoghe iniziative.
Perché questa riscoperta? Ritengo che il motivo principale vada ricercato nel diverso approccio che la società ha tentato nei confronti del fenomeno criminoso. Un approccio non solo repressivo (anche se questo profilo ovviamente è stato tutt’altro che assente) ma soprattutto riparativo, finalizzato, come si dice in una felice espressione, alla “riduzione del danno.” Ogni reato commesso è vissuto come una sorta di trauma a cui la società è sottoposta, che va pertanto analizzato sia sul piano eziologico (affinchè non si ripeta o si ripeta il minori numero di volte possibile) sia su quello degli effetti derivanti (assicurando misure tese a far cicatrizzare la ferita inferta). Studiare l’impatto del reato diviene pertanto attività connessa e propedeutica a quella tesa alla riparazione del danno.
Porre la vittima al centro del discorso aulla criminalità, determina tuttavia un altro effetto, di non trascurabile entità. Tale materia esula o pertiene in modo quasi trascurabile alle competenze delle tradizionali agenzie di controllo sociale (in particolare le forze di polizia) per coinvolgere pervasivamente altre realtà ed altre professionalità. Il rapporti tra soggetti dediti al contrasto al crimine e soggetti dediti alla riparazione del danno, inevitabilmente destinato ad intensificarsi, resta uno dei problemi aperti del prossimo decennio.

mercoledì, febbraio 17, 2010

Convegno Transcrime sui nuovi modelli per l'analisi dei problemi e lo sviluppo delle politiche di sicurezza.



E' ormai dominio della ricerca avanzata - scrive transcrime - che pochi luoghi (hot spot) concentrino molta criminalità e producano molta insicurezza. Perchè si possano trasferire i risultati di queste ricerche in rimedi efficaci, occorre conoscere le dimensioni di questi luoghi, dove sono, quale criminalità producono, in quale giorno della settimana e in quale ora della giornata. Acquisita questa conoscenza, occorre poi pianificare i presidi delle Forze di Polizia, sviluppando tra cooperazione tra polizie pubbliche nazionali, locali e private, accrescendo nel contempo la formazione degli addetti e la partecipazione dei cittadini.
Su questi temi, è stata organizzata per lunedì 22 febbraio 2010 alle ore 10.00 presso l' Aula Magna dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, una giornata di discussione con i principali esperti del settore.
Parteciperà il Sindaco di Milano Letizia Moratti, il Prif. Ernesto Savona, il Prof. Giuseppe Di Federico, i Prefetti Nicola Izzo (nella foto) e Paola Basilone, il sindaco di Bari Michele Emiliano, il nostro amico Enrico Tedesco della Regione Campania e, ultimo ma non ultimo, il Ministro Roberto Maroni.
Se possibile, cercheremo di pubblicare uno stralcio degli atti del convegno.

lunedì, febbraio 15, 2010

E l'oltraggio ritornò ad intasare le aule giudiziarie


"Sei insensibile e maleducato ciome tutti i poliziotti...chissà chi vi credete di essere solo perchè indossate una divisa..." Lo scudo a tutela dei pubblici ufficiali era stato tolto nel 1999, in considerazione del fatto che frasi come quelle appena ipotizzate sfuggivano dalle incaute bocche di malcapitate troppo spesso e, al danno di una contravvenzione, si aggiungeva sovente la beffa di una denuncia per oltraggio.
La legge n. 94 del 2009 ha tuttavia reintrodotto il reato. Sono sinceramente convinto che la popolazione italiana non ne sentisse la mancanza. Purtroppo i nostri tutori dell'ordine sono persone che svolgono un lavoro meritorio e durissimo ma, appunto per questo, non sempre sono inclini alla pazienza e alla tolleranza. In pochi mesi, pertanto, dall'agosto 2009 ad oggi il nuovo reato ha indotto l'apertura di ben 1200 fascicoli nelle procure italiane, intasando ancor più un sistema all'orlo del collasso.
Io spero vivamente che le forze di polizia - nei cui confronti sono stati svolti negli anni numerosi corsi di formazione di comunicazione pubblica e di "approccio alla cittadinanza" - non necessitino più di questo "scudo penale" che, come tutti gli scudi, diviene troppo spesso una comoda trincea ove collocarsi per non rispondere ad alcuna critica sul proprio operato. Rinunciamo all'oltraggio o, almeno, depenalizziamolo e prevediamo una sanzione amministrativa. Un raddoppio della contravvenzione, ad esempio, sarebbe già deterrente sufficiente, immediato, pratico ed economicamente vantaggioso per le casse dello Stato.

venerdì, febbraio 12, 2010

Firmato il protocollo tra Ministero dell'Interno e polizia privata per aprire "mille occhi sulla città".


Metronotte e operatori privati sono chiamati a segnalare attraverso canali preferenziali la presenza di mezzi o persone sospette, di bimbi o anziani in difficoltà e di auto o moto rubate. Lo prevede il protocollo d'intesa firmato ieri tra il Viminale, l'Anci e le associazioni degli istituti di vigilanza privata, «Mille occhi sulla città». Il Ministro Maroni lo saluta con entusiasmo come «modello di sicurezza allargata, partecipata, assolutamente moderno, efficiente e utile». Di «passo in avanti verso la sicurezza partecipata» parla anche il viceministro Alfredo Mantovano. Ma tra i sindacati di polizia, invece, c'è chi, come l'Anfp, parla di «minestra riscaldata», un protocollo analogo di 8 anni fa specificava gli stessi «obblighi cui gli istituti di vigilanza privata sono già tenuti per legge». E sospetta con la Filp-Cgil sia solo un modo per «pagare con i soldi pubblici il servizio di una pattuglia privata, già pagata dai clienti». D'accordo il Pd che con Emanuele Piano rimarca «il fallimento dell'idea delle ronde» e paventa il «progressivo trasferimento di competenze e oneri» dalle forze dell'ordine « a soggetti privati" Fonte: Corriere della Sera, 12.02.2010.

Le critiche delle organizzazioni sindacali somo, nel caso in specie, probabilmente ingiuste. Il protocollo non sembra infatti prevedere oneri finanziari per il Ministero dell'interno e quindi difficilmente si potrà parlare di un trasferimento di risorse o, comunque, di somme di denaro dal pubblico al privato. Credo che le forze di polizia debbano liberarsi di un loro pregiudizio, quello di ritenere di essere le uniche in grado di sostenere la "missione" del contrasto alla criminalità e che ogni ulteriore apporto da parte di soggetti terzi sia inutile orpello quando non addirittura ostacolo ed impedimento. Come ben potrebbe testimoniare Raffaele Lauletta, con cui parliamo di queste cose da anni, la polizia privata potrebbe invece - sotto la guida delle Forze a competenza generale, fornire un contributo prezioso, nei limiti ovviamente delle proprie contenute competenze e possibilità.

mercoledì, febbraio 03, 2010

Antonio Giannella, nuovo referente Pon


E' il Prefetto Antonio Giannella il nuovo Coordinatore e Referente Conoscitivo per il Pon Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno. Prende il posto di Daniela Dintino, collacata a riposo.

sabato, gennaio 30, 2010

Campagna per la lotta alla contraffazione.


Chissà se è stata una iniziativa del mio amico Silvio D'Amico, grande esperto di politiche di sicurezza emigrato verso il ministero dello sviluppo economico, questa idea di una campagna per la lotta alla contraffazione che quel dicastero pone in essere in questi giorni in collaborazione col comune di Roma.
Ai tempi della redazione del Pon Sicurezza 2007-13, il prof. Elio Montanari, che i lettori di questo blog conoscono ed sicuramente apprezzano, non aveva dubbi al riguardo: la lotta alla contraffazione sarà uno dei temi principali da affrontare nella strategia di sostegno dell'economia legale del nostro Paese. Ma sembrava un profilo troppo specifico della Guardia di Finanza per appassionare gli altri attori delle politiche di sicurezza. Un obiettivo operativo dedicato riuscimmo comunque ad inserirlo, superando non pochi sospetti e diffidenze. Non so quante di quelle poche risorse che riuscimmo a destinarvi siano state spese. Mi rendo tuttavia conto che "ideare" è molto più facile che tralizzare e gli attuali gestori del Pon hanno tutta la mia solidarietà.
Il Ministero dello sviluppo economico ne fa adesso una sua battaglia. Niente di male, intendiamoci. Anzi, sia benvenuto e benedetto ogni intervento di sostegno alla causa comune. Pertanto, seguiamo tutti con interesse e simpatia le iniziative che, come noto, avranno luogo a Roma il 29, 30 e 31 gennaio.

giovedì, gennaio 28, 2010

Presentato a Roma il Rapporto Italia 2010 dell'Eurispes


Domani venerdì 29 gennaio 2010, alle ore 11.00, presso la Biblioteca Nazionale di Via Castro Pretorio, avrà luogo la presentazione del Rapporto Italia 2010 dell'Eurispes, appuntamento sempre interessante e fecondo di spunti di osservazione e meditazione.
Invitando tutti gli amici che hanno tempo e modo a farvi una capatina (magari per farsi consegnare una copia dello splendido rapporto) fornitrò il mio personale contributo all'occasione, ripubblicando le anticipazioni di stampa che l'Istituto ha diffuiso, limitandomi ovviamente ad uno stralcio della sintesi del capitolo "sicurezza".


Chiamati a rispondere sulla fiducia che accordano alle altre Istituzioni, gli italiani fanno emergere anche nell’indagine di quest’anno uno stretto legame con le Forze dell’ordine che la stragrande maggioranza dei cittadini continua ad identificare come sicuro punto di riferimento.

In particolare, il gradimento nei confronti dell’Arma dei Carabinieri, che in tutte le rilevazioni effettuate dall’Eurispes si è sempre posizionata al primo posto per numero di consensi, è aumentato di quasi 6 punti percentuali passando dal 69,6% del 2009 al 75,3% nel 2010. A seguire, la Polizia di Stato, che segna anch’essa un incremento sensibile della fiducia accordata dai cittadini: nel 2009 era il 63,3% mentre nel 2010 si attesta al 67,2% (+3,9).

Parallelamente cresce anche il dato relativo ai consensi nei confronti della Guardia di Finanza che lo scorso anno raggiungeva il 62,7% e nel 2010 guadagna oltre 4 punti arrivando al 66,9%, quasi allo stesso risultato ottenuto dalla Polizia.

Di segno contrario, invece, l’andamento dei giudizi nei riguardi della Polizia penitenziaria che evidenziano una diminuzione del consenso di quasi cinque punti percentuali. Con tutta probabilità, questo risultato è anche il frutto dei recenti fatti di cronaca (presunte violenze nei confronti dei detenuti, ecc.) che hanno contribuito ad influenzare l’opinione pubblica.

Prendendo in esame l’area politica di riferimento emerge che tra coloro che si collocano nell’area di centro vi è una maggiore propensione nell’accordare fiducia ai Carabinieri (80,6%), seguiti dal centro-destra (78,3%). Di particolare interesse appare il giudizio positivo espresso dal centro-sinistra (78,2%) e dalla sinistra (75,4%). Fiduciosi nell’Arma, in misura minore anche rispetto a chi non si riconosce in nessuna area politica (71,7%) sono coloro i quali dichiarano di essere di destra (69,7%).

Una maggiore fiducia nelle Forze dell’ordine si riscontra soprattutto tra le persone più anziane e nella fascia d’età compresa tra i 45 e i 64 anni. Accade così che gli over65 accordino fiducia all’Arma dei Carabinieri nel 79,1% dei casi, alla Polizia nel 71,3% dei casi e alla Guardia di Finanza (69,3%). Stesso discorso per coloro i quali si trovano nella classe d’età dei 45-64 anni che esprimono il proprio gradimento soprattutto nei confronti dell’Arma (79,8%); segue il gradimento nei confronti della Polizia (68,3%) e nei confronti della Guardia di Finanza (66,5%).

martedì, gennaio 19, 2010

Meditare ed operare


Sono molti gli amici che mi domandano se non fosse infondata la notizia, circolante ormai da qualche settimana, secondo cui io sarei in procinto di ritornare ad operare in ambito istituzionale ad altissimo livello. In verità l'incarico mi era stato offerto e io mi ero guardato bene dal rifiutarlo. Nel settore specifico - cho è del mestiere lo sa bene - non sono molti coloro provvisti di esperienza e (forse) di competenza e tra quei pochi (nei primi o negli ultimi posti non lo so) il mio nome non può essere omesso. Si, non vi nascondo che reputavo la scelta di ricollocarmi in una posizione strategicamente importante per le politiche di sicurezza, una decisione molto saggia.
Tuttavia, sembra che le cose non andranno così. Nessuno è indispensabile e ovviamente non cadrà il mondo per questo. Meditare mi piace ma meditare senza dare un seguito concreto ed operativo alle proprie conclusioni, non mi fornisce molto piacere. Ma questo piacere (che non è comunque nè piccolo nè poco) me lo farò bastare.

domenica, gennaio 03, 2010

Il 2010 anno della lotta alla droga in Italia. Mi piacerebbe crederci, ma con qualche distinguo...


E' di pochi giorni fa la notizia che il Presidente del Consiglio, nel corso di una telefonata alla comunità di Don Gelmini, avrebbe "assicurato che il governo continuera’ nel 2010 la battaglia contro la droga e per il sostegno delle comunita’ di recupero dei tossicodipendenti." Mi sembra un ottimo proposito. Ma credo sia opportuno, sull'argomento, fare un'osservazione e un doveroso distinguo. L'osservazione pertiene al termine "continuerà" che non mi pare il più appropriato. Se si ritiene di dover ripetere per il futuro lo scarso impegno profuso nel passato (non solo dal presente governo) temo che veramente non ci siamo. Ricordo a me stesso le cifre del fenomeno, estrapolate dall'ultima presentazione al parlamento della relazione sullo stato delle tossicodipendenze in Italia: i consumatori non occasionali di stupefacenti (le c.d. droghe pesanti) ammontano nel nostro paese alla rilevantissima cifra di 385mila (Messina e Reggio Calabria messe insieme, tanto per comprenderne l'entità) e tra costoro già 175mila sono oggetto di trattamenti sanitari. Non meno preoccupanti (anche se venduti, chissà perchè, per dati che dovrebbero indurci all'ottimismo) sono le statistiche sui decessi. Non siamo più nel 1996, anno in cui ci lasciarono le penne per 1556 persone, da tempo viaggiamo ormai sui 600 decessi l'anno. Sembra che sia una fortuna.
Insomma, sul contrasto alle droghe pesanti personalmente sono dell'avviso che le "cose serie" debbano ancora essere realizzate sia sul versante dei traffici internazionali sia su quello dello smercio al minuto sia, infine, su quello dell'aiuto alle associazioni di volontariato che si occupano del recupero dei tossicodipendenti. Vedremo se, come promette il presidente Berlusconi, il 2010 sarà l'anno della svolta. Sarà più facile che ciò accada se le istituzioni saranno concentrate sul nemico più pericoloso. Mi rendo conto che alcuni amici mi toglieranno il saluto, ma in questo caso un distinguo tra droghe va fatto. Sembra che oltre il 30% gli italiani ammetta di aver, in modo non episodico, fatto uso di cannabis. Non so se la cifra sia esatta e non discuto sul fatto che queste persone meritino di essere aspramente criticate per la superficialità con la quale mettono a gravissimo repentaglio la loro salute. Mi domando tuttavia se non sia opportuno un cambio di strategia sull'argomento, arrivando finalmente alla totale depenalizzazione delle droghe leggere. Che le famose "operazioni antidroga" si risolvano talvolta nell'incarcerare il coltivatore diretto sorpreso con qualche pianta proibita nell'orto, mi sembra, data la situazione generale, quanto meno paradossale.

venerdì, gennaio 01, 2010

Quando, per far cassa, si diffonde sfiducia nelle istituzioni...


L'argomento che discuto oggi con voi può apparire (non a torto) avulso dai temi che amiamo. Tuttavia, se siamo concordi sul fatto che uno dei modi più sicuri ed efficaci di diffondere illegalità nel Paese è il negare la giustizia a chi a ragione la pretenda, non potremo non concordare tutti che la notizia che riporto è gravida di gravi conseguenze per la nostra cultura della legalità. L'ultima finanziaria ha infatti, tra l'altro, disposto l'aumento del contributo unificato (in sostanza la tassa che un cittadino deve pagare per ricorrere al giudice) per le cause inferiori ai 2500 euro, portandolo alla cifra incredibile di 38 euro. Perchè incredibile? Perchè questi procedimenti sono quelli ricadenti nella competenza del giudice di pace che si occupa anche, come tutti noi sappiamo, di contenzioso stradale. Un cittadino che si trovi ad essere vittima di un ingiusto accertamento, ad esempio per divieto di sosta (multa di circa 45 euro), dovrà preventivamente pagarne 38 solo per poter protestare e questa cifra, abbia il cittadino ragione o torto, sarà comunque incamerata dalla stato. In altre parole, legittima o illegittima che sia la contestazione, lo stato incasserà on ogni caso. Ne discende l'ovvia considerazione che protestare è assolutamente inutile e l'individuo oggetto di accertamento viene pertanto declassato da cittadino provvisto di diritti e doveri a suddito che deve soggiacere in silenzio.
Non è certamente un provvedimento propizio a cementare la fiducia degli italiani nelle istituzioni e, considerazione ancor più grave, sembra esaltare la cultura della prevaricazione sulla cultura della ragione, mutuando logiche perverse proprio da quella criminalità organizzata che tutti noi alacremente continuamo a tentare di contrastare.