
Solo di recente le politiche di sicurezza hanno riscoperto il tema cruciale della “
vittima”, per molti decenni assolutamente trascurato. L’interesse degli studiosi era stato infatti calamitato dalla figura del
criminale, nemico da contrastare ed eliminare o, talvolta, persino da comprendere e giustificare, figura comunque a cui attribuire nel reato il ruolo eterno del protagonista.
La vittima soggiaceva nello sfondo, quale soggetto passivo, entità occasionale su cui vi era poco da studiare, poco da comprendere, poco da modificare.
Facevano eccezione alla regola solo le vittime di fatti di sangue particolarmente efferati o di crimini quali la violenza sessuale, per i quali – talvolta a beneficio di possibili eventuali attenuanti da riconoscere all’autore del reato – la figura del soggetto passivo veniva sezionata e discussa.
Questo processo di marginalizzazione del ruolo della vittima ha trovato recentemente in Italia un momento di controtendenza, in coincidenza con una serie di studi sulla criminalità predatoria che hanno conferito grande impulso alle c.d.
indagini di vittimizzazione. Impossibile non ricordare, al riguardo, l’indagine condotta nel nostro Paese dal sociologo
Marzio Barbagli per conto dell’ISTAT nel 1998, che ha dato adito ad una serie di analoghe iniziative.
Perché questa riscoperta? Ritengo che il motivo principale vada ricercato nel diverso approccio che la società ha tentato nei confronti del fenomeno criminoso. Un approccio non solo repressivo (anche se questo profilo ovviamente è stato tutt’altro che assente) ma soprattutto riparativo, finalizzato, come si dice in una felice espressione, alla “
riduzione del danno.” Ogni reato commesso è vissuto come una sorta di trauma a cui la società è sottoposta, che va pertanto analizzato sia sul piano eziologico (affinchè non si ripeta o si ripeta il minori numero di volte possibile) sia su quello degli effetti derivanti (assicurando misure tese a far cicatrizzare la ferita inferta). Studiare l’impatto del reato diviene pertanto attività connessa e propedeutica a quella tesa alla riparazione del danno.
Porre la vittima al centro del discorso aulla criminalità, determina tuttavia un altro effetto, di non trascurabile entità. Tale materia esula o pertiene in modo quasi trascurabile alle competenze delle tradizionali agenzie di controllo sociale (in particolare le forze di polizia) per coinvolgere pervasivamente altre realtà ed altre professionalità. Il rapporti tra soggetti dediti al contrasto al crimine e soggetti dediti alla riparazione del danno, inevitabilmente destinato ad intensificarsi, resta uno dei problemi aperti del prossimo decennio.