
Per l'autore di un blog come quello che avete la bontà di leggere, finalizzato esplicitamente a trattare i temi della sicurezza (anche se cercando sempre, qualora possibile, di coglierla sotto il profilo di presupposto per lo sviluppo economico e sociale) la lettura del testo del filosofo norvegese Lars Svendsen, riproposto in Italia dalla Castelvecchio editore, è doppiamente proficuo. La ricerca della sicurezza altro non è, infatti, che la risposta razionale ad uno dei sentimenti più antichi che accompagnano la storia dell'umanità: la paura. Chiedersi cosa sia la paura e quale sia la cultura che la sua diffusione inevitabilmente genera e diffonde è, pertanto, assolutamente necessario e consente a tutti noi, sedicenti cultori della materia delle politiche di sicurezza, di godere di un salutare bagno di umiltà.
La paura è un sentimento assolutamente normale, direi fisiologico, che ci fa compagnia dalla notte dei tempi, eppure ogni generazione (e quella presente non fa certo eccezione) sembra riscoprirla ogni volta con sgomento. I motivi per aver paura (contrariamente a quanto si pensi comunemente) non sono affatto aumentati, al contrario: la nostra società occidentale è probabilmente una delle più sicure che la storia ricordi.
La componente che sembra incrementarsi costantemente è invece la "cultura della paura" e, di conseguenza, la politica della paura. Questo sentimento è, infatti, un potente mezzo di controllo sociale ed un fortissimo argomento a sostegno delle decisioni meno giustificabili. "La paura" scrive il filosofo norvegese "è uno dei fattori di potere più importanti che esistano e chi può governarla in una società terrà quella società in pugno"
Un richiamo ad una visione serena e razionale dei potenziali pericoli che ci minacciano, mi pare opera meritoria. Una società è veramente sicura quando è anche serena e in grado di difendersi dai rischi incombenti senza isterismi e senza cedere alle demagogie. Tutto ciò mi pare saggio. Ma attenzione, guai a pensare che un livello misurato e controllato di timore sia inutile. Lo spirito di autoconservazione è necessario per la tutela sia del singolo sia di una collettività, poichè "temere" significa anche considerare il futuro e programmare le risposte che si pensa saranno necessarie a fronteggiare le emergenze. Pur consapevoli che - per fortuna - molte di queste emergenze non avranno mai luogo e molte delle minacce che dovremo effettivaqmente affrontare assai meno spaventose nella realtà di quanto non lo siano state nelle nostre tormentate preoccupazioni.